Premessa
Spiegare la musicoterapia non è facile, le definizioni standard non sempre sono adeguate e comprensibili a persone “non del campo”, spesso è necessario creare una definizione ad hoc per incontrare specifiche esigenze e peculiari situazioni.
Il musicoterapeuta deve mostrarsi sensibile a ciò che l’interlocutore desidera, o ha necessità di sapere (fondamento/i filosofici della musicoterapia, informazioni tecniche inerenti all’utilizzo della terapia musicale nelle specifiche patologie, una panoramica sull’argomento), capire quale tipo di preparazione possiede la persona che ha di fronte, offrire risposte più o meno dettagliate e debitamente contestualizzate.
Tentando di comunicare l’essenziale, i musicoterapeuti si confrontano spesso con questioni fondamentali, di non facile risoluzione. Definire significa concentrare, delimitare il campo della propria essenza, rivelare in maniera sintetica scopi, metodi, competenze, teorie, tutto ciò che è e che “non è” musicoterapia. Le definizioni possono mutare in relazione al tempo, all’esperienza, al contesto, hanno profonde implicazioni, tracciano identità (ruoli professionali, responsabilità, requisiti) e filosofia personale complessiva della disciplina e del terapeuta stesso.
Le definizioni della musicoterapia
La musicoterapia è un’attività che ha per oggetto la cura della “salute” dell’uomo e impiega, come primario strumento di lavoro, la relazione tra paziente e terapeuta quale essa si configura attraverso l’espressione sonora e musicale.
“La musicoterapia è l’uso organizzato dei suoni e della musica, all’interno di una relazione, per sostenere ed incoraggiare un benessere fisico, mentale, sociale ed emotivo”.
(L. Bunt, “Musicoterapia: un’arte oltre la parole”)
Presupposto principale è l’accettazione incondizionata del paziente; alla base di questo atteggiamento c’è la fiducia che, a prescindere dalle difficoltà fisiche, mentali, affettive e culturali, ciascun individuo conservi in sé risorse sufficienti per autorealizzarsi e trasformare positivamente
gli stati problema. Parte essenziale dell’intervento consiste nel promuovere negli utenti un aumento della libertà nella manifestazione della personale e specifica modalità d’essere nel mondo.
La musicoterapia presenta numerose definizioni, naturalmente non sempre universalmente condivisibili. Negli Stati Uniti quella più frequentemente utilizzata proviene dall’Associazione Nazionale per la Musicoterapia (NAMT), altrettanto frequente, a livello internazionale, è l’utilizzo della definizione dei musicoterapeuti della Gran Bretagna.
NAMT
“La musicoterapia è l’uso della musica per la realizzazione di fini terapeutici: il ristabilimento, il mantenimento e il miglioramento della salute fisica e mentale. E’ l’applicazione sistematica della musica, diretta dal musicoterapeuta in un ambito terapeutico, per portare i cambiamenti desiderati nel comportamento. Tali cambiamenti permettono all’individuo di affrontare la terapia per arrivare ad una maggiore comprensione di sé e del mondo intorno a lui, e di ottenere quindi un più adeguato adattamento alla società. Come membro della squadra terapeutica il musicoterapeuta professionista prende parte all’analisi dei problemi dell’individuo e alla formulazione degli obiettivi del piano generale di trattamento, prima di progettare ed elaborare specifiche attività musicali. Valutazioni periodiche vengono fatte per determinare l’efficacia delle procedura impiegate”.
La definizione risulta chiara ed esplicativa per quanto concerne la modalità lavorativa del musicoterapeuta all’interno di uno staff terapeutico, sufficientemente imperniata sulla persona e sui possibili bisogni. La frase di apertura è decisamente centrata sulla musica, come agente primario della terapia (“uso della musica per la realizzazione di fini terapeutici”), piuttosto che sulla persona e sulla paritaria importanza d’una relazione significativa tra paziente e terapeuta. Nella seconda frase sembra essere l’azione sistematica e “direttiva” del terapeuta a provocare determinati cambiamenti, piuttosto che “un fare ed un essere insieme” del terapeuta e del cliente, un percorrere insieme cammini evolutivi di crescita umana.
ASSOCIAZIONE DEI MUSICOTERAPEUTI PROFESSIONISTI DELLA GRAN BRETAGNA (APMT)
“La musicoterapia è una forma di trattamento in cui si instaura un mutuo rapporto fra paziente e terapeuta, che permette il prodursi di cambiamenti nella condizione del paziente, e l’attuazione della terapia (………….) attraverso l’uso della musica in maniera creativa in ambito clinico, il terapeuta cerca di stabilire un’interazione, un’esperienza ed un’attività musicale condivise che portano al perseguimento degli scopi terapeutici determinati dalla patologia del paziente”.
Questa definizione ha il merito di porre subito in primo piano, come elemento caratterizzante la terapia, il “mutuo rapporto” e “l’interazione” che intercorre fra terapeuta e paziente, al fine di produrre in quest’ultimo i cambiamenti desiderati. Al tempo stesso definire la musicoterapia una
“forma di trattamento” non tiene in debita considerazione la valenza della terapia in quanto percorso trasformativo di crescita individuale (percorso inteso come risveglio di quelle qualità umane, sopite o compromesse, come creatività, capacità di comunicare, provare e manifestare aspirazioni, sentimenti, perseguire ideali).
Azzardando una definizione più generale potremmo dire che la musicoterapia è un linguaggio di rappresentazioni simboliche, diventa terapia quando attraverso suono e musica permette l’instaurarsi di una relazione sintomatica e dinamica tra individui all’interno di un contesto protetto di crescita ed esplorazione comune, di trovare o “ritrovare” un contatto con il sé più profondo, l’autorealizzazione, la trasformazione, la valorizzazione massima delle potenzialità, abilità e peculiarità presenti nell’essere umano. L’intervento musicoterapeutico è un “essere” ed un “fare” per una specifica persona, in un determinato tempo e contesto, utilizzando tecniche e strategie scelte in base a necessità contingenti e in possibile divenire.
Ascoltare “tutto” come musica offre terreni fertili, accoglienti e non giudicanti alla persona e alle più svariate possibilità di comunicazione all’interno della dinamica relazionale.
Si fornisce un contesto, un setting, ed il potenziale del gesto, del più piccolo movimento, respiro, può trasformarsi in musica. Nel dialogo sonoro dell’improvvisazione terapeutica la persona diventa spartito da leggere, le singole individualità del cliente e del terapeuta si “fanno musica”.
Si “suona” la relazione esistente “tra me e te”.
“Soggetto dell’empatia […] è il noi […]. Una singola azione ed altrettanto una singola espressione – uno sguardo o un sorriso – possono offrirmi la possibilità di gettarmi nel nucleo della persona” (Edith Stein, Il problema dell’empatia, ed. Studium, Roma, 1998).
“Guarire”, o meglio portare la persona a guardare diversamente alla malattia, diventa un percorso di autocoscienza e autoconoscenza, integrazione di ciò che manca, comprensione delle carenze e della loro soddisfazione. La musica risulta strumento di lavoro ideale proprio per la sua caratteristica di coinvolgere olisticamente la persona nel suo essere corpo, emozione, mente e anima.
Natura della musicoterapia
La musicoterapia ha diversi aspetti che la rendono difficile da definire. E’ un corpo di conoscenza multidisciplinare; come combinazione di discipline (musica e terapia) è ad un tempo arte, scienza, processo interpersonale, come terapia di trattamento è diversificata, come disciplina e professione ha una doppia identità, come materia giovane è ancora in divenire.
In quanto arte è legata alla soggettività, alla creatività, bellezza, individualità, è organizzata scientificamente e sviluppata attraverso un processo interpersonale. In quanto scienza è legata all’obiettività, collettività, riproducibilità, è rafforzata dall’arte, resa umana dal rapporto terapista-paziente. Come processo interpersonale si collega all’empatia, intimità, comunicazione, all’influenza reciproca, è facilitata dall’arte, guidata dalla scienza.
Definire la musicoterapia come una di queste materie significa ignorare la su vera essenza di disciplina, che abbraccia modularmente questa molteplicità e ne preserva l’integrità e l’unicità.
Transdisciplinarietà
La musicoterapia è la dinamica combinazione di molte discipline attorno a due grandi aree, musica e terapia. Nelle discipline collegate alla musica includiamo psicologia della musica, sociologia della musica, antropologia della musica, filosofia della musica (estetica), biologia della musica (fisiologia, neurologia), acustica, psicoacustica, educazione musicale, teoria e storia della musica, arte, danza, teatro, poesia, letteratura.
Per quanto concerne la terapia troviamo psicologia, psicoterapia, counseling, psichiatria, lavoro sociale, arti curative, consulenza spirituale, ricreazione terapeutica, medicina, linguaggio, terapia comunicativa, audiologia, educazione speciale, terapie di arti creative.
Varietà delle applicazioni cliniche
Al momento la musicoterapia viene proposta in scuole, cliniche, ospedali, centri sociali, case di cura, centri di salute mentale, case di riposo, prigioni, comunità.
I clienti che ne beneficiano sono ragazzi e adulti autistici, con disturbi emotivi, problemi psichiatrici, ritardo mentale, difficoltà di apprendimento, disturbi motori, del linguaggio, persone diversamente abili, detenuti, tossicodipendenti, anziani, malati terminali, prematuri; la musicoterapia può essere utilizzata anche per assistere individui sani affetti da stress, partorienti. Scopi e metodi di trattamento variano da un cliente all’altro, da un terapeuta all’altro, le applicazioni si muovono all’interno d’una varietà di orientamenti filosofici regolati da teorie umanistiche, cognitiviste, gestaltiche, psicoanalitiche.
L’intervento musicoterapeutico si propone di offrire agli utenti la possibilità di comunicare attraverso linguaggi non–verbali, aprendo canali espressivi che permettano all’individuo di manifestare emozioni, accedere alle proprie risorse e valorizzarle. Quando il linguaggio non è acquisito, quando lo sviluppo si presenta problematico, le relazioni difficili, se non impossibili, la musicoterapia rappresenta lo strumento per eccellenza con cui entrare in contatto con l’altro, dargli opportunità di rivelarsi, “vedersi”, comunicare attraverso la propria musica interiore, sempre portatrice di vissuti e valori personali. Partendo dal presupposto che l’essere umano è “parlante” nella totalità dei comportamenti psico-senso-motori e nelle tracce degli stessi, la musicoterapia può rivelarsi aiuto prezioso nell’accompagnare e supportare il cliente promuovendo integrazione psicologica, emozionale e relazionale attraverso i processi creativi.
Modalità di intervento e caratteristiche del servizio
Esistono due modalità distinte inerenti alla musicoterapia: attiva (fare musica), ricettiva (proporre l’ascolto di brani musicali con particolari accorgimenti). La scelta fra musicoterapia attiva o ricettiva dipende dagli obiettivi che ci si propone. Le impostazioni teoriche della musicoterapia attiva si muovono principalmente su due versanti, psicoanalitico-psicodinamico e umanistico.
Gli esponenti più autorevoli sul versante psicoanalitico-psicodinamico provengono dall’estero. Vediamo nel nostro paese la presenza dello psichiatra argentino R. Benenzon, i musicisti inglesi
L. Bunt, N. Hartley, T. Wigram, il belga J. De Backer, i docenti americani C. Maranto, K. Bruscia,
B. Wheeler, docenti del gruppo Nordoff-Robbins di New York.
Sul versante umanistico vediamo presenze italiane, G. Cremaschi Trovesi con la coterapeuta
S. Colpani, M. Scardovelli, l’apporto culturale di C. Sini, la musicoterapia umanistica trasformativa di Roberto Ghiozzi (per maggiori approfondimenti si rimanda alla tavola sinottica dei modelli della Musicoterapia compilata dal direttivo della F.I.M, Federazione Italiana Musicoterapeuti, www.musicoterapia.it).
Le principali esperienze, attraverso le quali si concretizza il lavoro musicoterapeutico nel contesto di sedute individuali o di gruppo, riguardano l’improvvisazione musicale clinica (libera o a tema), il dialogo sonoro, l’ascolto musicale (libero o guidato), esperienze di produzione musicale o di ascolto unitamente a espressione grafico-pittorica, movimento, verbalizzazione.
Tra queste modalità esperienziali l’improvvisazione terapeutica si pone quale momento d’incontro attivo tra paziente e terapeuta. Può assumere la forma di un vero e proprio dialogo (dialogo sonoro) all’interno del quale ciascun elemento musicale emergente (timbro, volume, altezza, durata, ritmo, qualità melodica ed armonica) rappresenta un essenziale indicatore della qualità energetica, relazionale e individuale, che si manifesta nel corso della seduta.
L’improvvisazione clinica si basa sull’imprevedibilità, la transitorietà degli eventi, dell’essere, sulla libertà e la consapevolezza di venire accettati ed amati per quello che si è, in uno specifico contesto e tempo, in assenza di giudizio (accettazione incondizionata).
Ogni prodotto musicale, vissuto ed elaborato insieme al cliente, è accettato ed accolto dal terapeuta come parte d’un percorso di crescita e trasformazione, e in quanto tale non viene mai giudicato secondo parametri tecnici, estetico-formali, o filtrato secondo intenti interpretativi (così come può avvenire per altre tipologie di improvvisazione musicale) perchè costituisce sempre testimonianza piena ed integrale di dignità umana e identità personale.
Partendo da queste premesse l’improvvisazione musicale, specificatamente in musicoterapia umanistica, tende verso nuovi obiettivi: integrazione tra corpo, mente e spirito, valorizzazione della persona, apertura di nuovi canali comunicativi.
All’interno dell’improvvisazione terapeutica le parti coinvolte non si pongono sullo stesso piano, come accade in un’improvvisazione tra musicisti, dilettanti o professionisti che siano. Bisogni, aspettative, stato psico-fisico delle persone coinvolte sono radicalmente diversi e asimmetrici, il contesto è una relazione d’aiuto, non una session, una performance pubblica, un’esperienza didattica (i cui scopi possono anche essere d’ordine formativo, ma probabilmente mirano alla realizzazione d’un prodotto musicale di un certo valore artistico).
Le parti coinvolte, cliente e musicoterapeuta, hanno ruoli definiti, competenze e abilità diverse; l’elemento più importante per il terapeuta è l’unicità della persona che ha davanti, la sua valorizzazione.
L’evento musicale viene considerato “mezzo” efficace con cui entrare in relazione esplorando dimensioni espressive inconsuete, non “fine” a cui mirare (anche se può accadere di creare insieme bellezza e originalità, eventi esteticamente interessanti ed apprezzabili). L’ascolto profondo ed empatico del musicoterapeuta è essenziale allo sviluppo di un dialogo sonoro, quello del paziente spesso inesistente o fortemente compromesso. Tra musicisti di pari livello l’ascolto è condizione indispensabile per la riuscita di una qualsivoglia improvvisazione, sia che si ricerchino specifici obiettivi estetici o didattici, sia che il contesto sperimentale persegua come scopo la pura ludicità, la libera esplorazione dei più disparati materiali sonori e musicali.
Nel modello umanistico l’improvvisazione non necessita di strutture prestabilite, la conclusione avviene spontanea, si trae beneficio dalle vibrazioni del suono, dal sentire il proprio mondo interno “reso” suono. La persona, la relazione stessa tra terapeuta e cliente, diventano la partitura musicale a cui guardare.
La “lettura” delle sedute avviene attraverso l’utilizzo della videocamera e l’osservazione fenomenologica degli eventi ed elementi che emergono nel corso dell’incontro. In seguito questi vengono analizzati e trascritti su un protocollo, quindi discussi con figure professionali di riferimento (all’interno e/o all’esterno della struttura), al fine di tracciare un quadro il più possibile attinente alla realtà e alle esigenze dell’utente.
Il dialogo sonoro
Improvvisazione musicale come libera espressione di sé, che affonda le proprie radici nella corporeità e nella naturale, fisiologica, creatività musicale.
Nella tecnica del dialogo sonoro la prima fase dell’incontro è improntata ad un ottimale contatto tra facilitatore (l’operatore esperto) e facilitato (il suo interlocutore: cliente, paziente), nel quale il facilitatore ascolta e accoglie attivamente l’altro nella presentazione sonora di sé. Dopo aver conosciuto e confermato il facilitato nelle sue modalità e preferenze musicali, aver instaurato un clima di fiducia, gli obiettivi mirano all’arricchimento della mappa del mondo dell’altro, al potenziamento delle sue strategie comunicative ed espressive.
In questa fase il facilitatore incomincia ad improvvisare su temi o spunti proposti dall’interlocutore, conducendo il facilitato ad esplorare progressivamente dinamiche poco conosciute, se non sconosciute, partendo da una base iniziale sicura e rassicurante. Esperire il “diverso”, all’interno di un rapporto di fiducia, permette al facilitato di entrare in contatto con le novità di un mondo più vario, ricco di risorse ed opportunità di crescita.
Musicoterapia: oltre la musica e la terapia (la somma delle parti è più dell’intero..)
Le proprietà curative del suono e della musica sono note sin dall’antichità. Ma qual è la relazione che intercorre tra suono ed individuo? Può il suono, la musica, penetrare la natura dell’uomo e modificarla? E se sì, in che modo avviene?
Oggi l’idea della musica, come evento magico e taumaturgico, è stata sostituita da un nuovo concetto più vicino alla scienza moderna, quello di musicoterapia. In realtà le proprietà curative della musica erano note agli antichi e se ne trovano indicazioni nella storia, nella mitologia, nella filosofia.
Le ferite di Ulisse cessavano di sanguinare al canto magico intonato da alcuni soldati; nella Bibbia (Samuele, 1°16) “Davide prendeva l’arpa e suonava; ed allora Saul si calmava e i cattivi spiriti si allontanavano da lui.” Pitagora chiama la musica “medicina musicale”, l’orfismo la ritiene capace di liberare l’anima dai legami del corpo, Platone e Ippocrate parlano di alterazioni e movimenti provocati dalle vibrazioni sonore.
“La musica riesce a mettere in relazione due anime, facendole vibrare in maniera identica. E’ un ponte che getta l’uomo di là da un abisso per raggiungere un altro uomo” (Platone, Leggi 2°653d e 654a).
Per gli antichi la musica ha facoltà di formare, trasformare, modificare corpo e spirito.
Nel 1967 uno scienziato svizzero, Hans Jenny, sottopone polveri, paste e fluidi all’influsso delle vibrazioni sonore: l’intensità e la frequenza delle vibrazioni modificano lo stato delle materie (Cymatics. The structure and dynamics of waves and vibrations, Basilius Press, Basel, 1967).
La musicoterapia comincia a delineare i primi tratti come disciplina a partire dal 1811 grazie all’opera di Pietro Lichtnenthal, medico e compositore italo-ungherese (“Trattato dell’influenza della musica sul corpo umano”, rist. anast. Forni, Bologna, 2003); nel 1875, il medico francese Chomet pubblica alcuni studi di musicoterapia (“Effetti ed influenza della musica sulla salute e le malattie”). Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, in zone dell’America e dell’Europa, numerosi musicisti vengono inviati negli ospedali per mitigare le sofferenze dei pazienti e “sostenerne” il morale. Più tardi negli Stati Uniti si sperimentano i primi interventi di terapia musicale con gruppi di reduci della seconda guerra mondiale. Ricerche sistematiche si svolgono solo dopo il 1945.
Risalgono agli anni trenta del secolo scorso le prime indagini sulle risposte emotive alla musica, quando la psicologa e musicologa Kate Heiner riesce a dimostrare che il cervello utilizza due elementi essenziali per elaborare una risposta emozionale al fenomeno musicale: il modo (la tonalità) e il tempo (la velocità di esecuzione), dalla loro combinazione l’uomo ricava emozioni universalmente condivisibili.
Questa teoria è stata recentemente dimostrata da un esperimento compiuto all’Università di Montreal da Isabelle Peretz (direttrice insieme a Robert Zavorre del Brain Music and Sound, BRAMS, progetto inerente alle basi biologiche della musica), che ha registrato le modificazioni indotte dalla musica sui vari parametri fisiologici (pressione del sangue, frequenza cardiaca, conduzione elettrotermica). Le musiche hanno prodotto la medesima risposta fisiologica (sudorazione, aumento o rallentamento del battito cardiaco, abbassamento della pressione..) in tutti gli ascoltatori, indipendentemente dal giudizio soggettivo sul tipo di emozione suscitata.
Oggi sappiamo che le interazioni tra vibrazioni del mondo esterno e cervello passano attraverso processi di integrazione di numerose aree cerebrali che, in ultima analisi, correlano sensazioni sonore ed emozioni. Moderne tecniche come la PET (Tomografia ad Emissione di Positroni) ci permettono di osservare in diretta i segnali corrispondenti all’aumento dell’attività cerebrale, in entrambi gli emisferi e nei sistemi ancestrali del cervello emotivo (sistema libico), in corrispondenza del fenomeno acustico.
Come professione, la musicoterapia ha solo pochi decenni. Negli Stati Uniti la data di nascita della professione può essere fatta risalire alla fondazione dell’Associazione Nazionale per la Musicoterapia (1950). Proprio perché così giovane, la sua identità come professione non è ancora pienamente emersa nei centri educativi e nelle strutture di cura, titolo finale e posizione non sono ancora definiti e universalmente riconosciuti.
Attualmente la musicoterapia è divenuta disciplina complessa dal punto di vista teorico e si rivolge a diversi campi d’applicazione. Può essere definita una trans-disciplina, la dinamica combinazione di molte discipline che ruotano attorno a due grandi aree: musica e terapia. La Musica mette da parte il suo valore estetico, si fa più flessibile, si modifica per andare incontro alle esigenze e alle necessità multisensoriali del soggetto. La Terapia, nel senso di “prendersi cura” di una persona, offre opportunità per vivere “dall’interno” una trasformazione facendo consapevolezza di sé, delle proprie emozioni e risorse comunicative. Esperienze musicali e rapporti, che si sviluppano in musicoterapia, servono come forze dinamiche per il cambiamento.
E’ credo comune, fra terapisti di vario genere, che la terapia passi necessariamente attraverso la relazione. I mezzi utilizzabili sono diversi: verbali, farmacologici, tecnici, artistici. La relazione che si instaura tra soggetto e musicoterapeuta, tra soggetto e musica, e che si manifesta attraverso esperienze fisiche, emotive, cognitive, sociali e spirituali, viene indirizzata ai fini di una evoluzione terapeutica. Confini chiari, riconoscibili, trasparenti e permeabili, sono di grande aiuto in qualsiasi relazione umana, così come poche ma stabili regole, che producano basi rassicuranti e aprano visioni di liberi spazi. Carl Rogers, nel suo approccio umanistico incentrato sulla persona, formula tre valori fondamentali per l’instaurarsi di una relazione: congruenza, accettazione incondizionata, comprensione empatica. Gli stessi valori risultano riferimenti essenziali anche nella dimensione musicoterapeutica (Scardovelli, 1997).
L’accettazione incondizionata rappresenta una grande sfida per le persone “istruite in musica”, soprattutto in ambito sonoro-musicale. All’interno della musicoterapia il gioco libero e creativo con il suono assume spesso forme e dinamiche lontane da regole estetiche e formali; accettarlo, e saperlo valorizzare è un’arte. In seguito, far emergere variazioni, lasciar nascere un dialogo ed invitare il cliente all’ampliamento delle sue idee musicali richiede ascolto, tolleranza e apertura verso le creazioni informali del suono.
Attraverso varie tecniche di sintonizzazione creiamo vicinanza affettiva: musica, movimento, segno grafico (linguaggi simbolici in contatto con l’emotività, la percezione, la sensibilità) ci permettono di entrare nell’intimità dello spazio vitale altrui. Le dinamiche relazionali possono essere dissonanti, non convenzionali, richiedere coraggio e forza costante, per far sì che tale intimità si esprima in termini costruttivi. Capacità di calibrazione, rispecchiamento, empatia senza identificazione da una parte, distanza “ecologica”, che preservi l’equilibrio dinamico del rapporto e l’igiene psichica personale del terapeuta dall’altra.
I cambiamenti hanno spesso bisogno di tempo per realizzarsi. Ai terapeuti è richiesta una pazienza particolare ed una fiducia intensa negli sviluppi del cliente; restare costantemente aperti al processo e all’incontro lascia spazio a tale crescita e maturazione. Nel ruolo di musicoterapeuta libero professionista non è facile restare nella “lentezza” e nella calma, sotto la pressione delle alte aspettative generali e dell’efficienza misurata e remunerata dal paziente nei termini dei risultati conseguiti. Solo la consapevolezza, che eventi e progressi terapeutici accadono soltanto in un clima rilassato – che a seconda del cliente e della situazione prende tempi e spazi diversificati – permette al terapeuta di convivere con questa aspettativa.
L’incontro con l’altro permette di riconoscere anche se stessi. Ci sono sempre momenti in cui scontrarsi con le proprie resistenze, rispondere alle proprie “ombre” e a personali giudici interiori. Il lavoro con la propria oscurità è necessario, la sollecitudine alla costante crescita quotidiana, umana e professionale, obbligatoria. Enumerare tutti gli aspetti che compongono la sfida nel fare terapia è impossibile; il fatto che gli sforzi diventino sfide esistenziali dipende da noi, dalla capacità individuale di ciascuno di saperli accogliere e trasformare.
L’origine professionale del musicoterapeuta fino ad oggi è ancora molto varia: si va da quella di insegnante, medico, psicologo, musicista, assistente sociale, fisioterapista, logopedista, psicomotricista. Generalmente si tratta di professionisti che si interessano, studiano e si specializzano ulteriormente in musicoterapia. Una delle immagini più diffuse è quella derivante dall’integrazione professionale di due professioni (Postacchini et. al., 1997).
La musicoterapia è fortemente modellata dall’attività primaria, dal contesto e dallo stile personale del professionista, ma può sussistere anche il caso contrario ovvero il professionista che concepisce la musicoterapia come primaria ed unica professione (Benenzon, 1988).
Più in generale vengono riconosciute due qualifiche specifiche: musicoterapista e musicoterapeuta.
Il musicoterapista è un professionista che ha compiuto studi di musicoterapia, opera in strutture pubbliche o private, con gruppi di pazienti giovani, adulti o anziani, fa parte di una équipe composta da altri professionisti (neuropsichiatra, psichiatra, geriatra). Il musicoterapeuta è un professionista preparato e formato per fare terapia con la musica. E’ in grado di operare con il gruppo e con la singola persona assumendosi la responsabilità del caso, può operare con una èquipe o autonomamente.
Nell’ambito professionale, nel difficile processo di definizione relativamente alla musicoterapia, ci si domanda frequentemente cosa sia il musicale della terapia e cosa il terapeutico della musica e del suono. Il dibattito è incessante e tuttora in corso. I professionisti si attengono al concetto di musica e di terapia personalmente scelto tanto che le divergenze di impostazione possono risultare notevoli. Nell’arco degli ultimi anni, è stata raggiunta una maggiore strutturazione e chiarezza nella precisazione dei modelli di lavoro, delle teorie e delle proposte. I tentativi di definizione delineano una serie di categorie in cui sono raggruppabili la maggior parte delle attività. Grazie agli sforzi rispettabili, riguardo alla coordinazione e allo sviluppo di sinergie tra associazioni professionali, al momento è stato formulato un profilo professionale uniforme e le modalità terapeutiche di procedimento corrispondenti:
- A differenza dei metodi di cura basati sulla separazione di mente e corpo (psicoterapia e medicina tradizionale), la terapia musicale ha un approccio olistico, che coinvolge organicamente parte spirituale e fisica dell’essere umano. Il suono provoca allo stesso tempo reazioni emotive e risposte fisiologiche. Nell’approccio musicoterapeutico mente e corpo vengono considerati nella loro imprescindibile unità.
- La musicoterapia sollecita il coinvolgimento dell’individuo e contribuisce a risvegliarne la volontà.
- Le attività musicali, se proposte e coordinate da professionisti seri, favoriscono l’acquisizione di una maggior percezione e consapevolezza di sé, di riflesso aiutano a migliorare la comunicazione con gli altri.
Elementi caratterizzanti e peculiari dell’intervento musicoterapeutico:
- la presenza di un operatore qualificato (musicoterapista/musicoterapeuta), professionalmente formato attraverso un percorso visibile.
- la presenza di un setting strutturato
- un modello teorico metodologico di riferimento
- obiettivi legati al cambiamento, alla trasformazione della persona o di alcune sue parti e/o funzioni
- il costante riferimento, nel percorso terapeutico, ad un piano interpersonale e relazionale.
Links
–FIM – Federazione Italiana Musicoterapeuti
www.musicoterapia.it/
–Aleph – PNL Umanistica Integrata
www.aleph.ws/
– Musicoterapia on line: www.mtonline.it
–Musicoterapia e PNL Umanistica
www.esserevoce.it/musicoterapia.htm
– A.I.M
http://www.aiemme.it/