IL BELFAST HARP FESTIVAL DEL 1792
Il mondo dell’arpa “celtica” in Italia è vasto e multicolore.
Già il termine stesso di “arpa celtica” è inflazionato, e preso così com’è, risulta difficile dargli una collocazione precisa nell’ambito degli strumenti musicali o nel genere.
L’arpa celtica si presenta sotto mille aspetti sia dal punto vista dell’ascolto, sia per chi la suona, come ci è arrivato, e dove andrà, sia considerando i tipi di arpe esistenti.
Ma chiunque la suoni, indipendentemente dal suo percorso o dal grado di perfezione della sua tecnica, non può non accostarsi con deferenza e trepidazione alla storia e al repertorio del Belfast Harp Festival del 1792.
“Un visitatore casuale che passeggiasse per le strade di Belfast nel luglio 1792, sarebbe senz’altro rimasto colpito ed affascinato dalla quantità di attività e frenesia che vi avrebbe trovato.
Belfast era piena di parate e incontri, perché molta della sua popolazione celebrava l’anniversario della presa della Bastiglia.
Ma vagabondando presso la sala da ballo dell’Exchange Rooms, sarebbe probabilmente trasalito imbattendosi in una visione ben strana.
Sopra un piccolo palcoscenico sedevano undici persone, dieci Irlandesi ed un Gallese.
Tutti avevano un’arpa, e per tre giorni suonarono e cantarono, mentre Edward Bunting, un diciannovenne organista di Armagh, stava tra essi trascrivendo le loro musiche.
Era una triste occasione, perché pose effettivamente fine all’antica tradizione arpistica che aveva continuato ininterrotta per centinaia d’anni.
Nell’antichità gli arpisti erano stati i musicisti dell’aristocrazia.
Un capo dei Gaeli teneva sempre un arpista nel suo personale, che lavorava a stretto contatto con i poeti, e godeva di alta considerazione e privilegi.
I Normanni assorbirono questa costume Gaelico, e così, sorprendentemente, gli ultimi Pari Inglesi, che spesso mantennero gli arpisti e li misero a far parte della propria servitù.
Quando anche questo sistema fu abolito dalla conquista Tudor, codesti arpisti passarono la loro vita viaggiando, ritenendosi ancora comunque superiori agli altri musicisti itineranti come i pipers o i suonatori di flauto.
Le origini del declino dell’arpa irlandese sono da ricercarsi in varie direzioni.
Prima di tutto, nel 1596 della regina Elisabetta I d’Inghilterra, che prestando orecchio alle voci che sospettavano gli arpisti girovaghi di essere agenti e fomentatori della ribellione, decretò che tutti gli arpisti irlandesi fossero impiccati e le arpe bruciate in piazza, inviando poi Lord Barrymore per eseguire l’ordine.
Tra il 1650 e il 1660 l’arpa già in decadenza, subì la dura repressione di Oliver Cromwell, che sull’onda dell’odio religioso fece bruciare tutti gli organi e le arpe degli Irlandesi Cattolici.
Questo declino divenne ancora più rapido durante il diciassettesimo secolo.
L’arpa tradizionale era poco duttile, e non poteva affrontare il crescente cromatismo che nella musica dell’epoca era sempre più di moda.
E l’ultimo colpo fu la grande popolarità del pianoforte.
Dove prima un’arpa stava nel salotto come un signore nella sua casa, suonata dai membri di tutta la famiglia, ora la rimpiazzava il piano, ed il mezzo di sostentamento degli arpisti, costituito dal suonare, insegnare e comporre sull’arpa, giungeva alla sua fine.
La fine di questo mestiere tradizionale, mise in pericolo l’esistenza anche della musica degli arpisti, che era stata tramandata attraverso i secoli in maniera puramente orale.
La reale importanza del Belfast Festival è costituita in effetti dal fatto che uno dei suoi principali obiettivi era salvare la musica d’arpa per i posteri.
Benché ci fossero stati altri festival prima di questo, la musica suonata dagli arpisti non era mai stata trascritta, e questa quindi costituiva l’ultima opportunità per farlo.
Il significato del Festival per i posteri, dunque, era che c’era Bunting a trascrivere la musica; senza questo, Belfast avrebbe avuto semplicemente l’ultima occasione per vedere insieme gli arpisti tradizionali irlandesi.
Potremmo soltanto domandarci che musica essi suonassero, o come, ma ne sapremmo pochissimo.
La collezione di Bunting è la più importante fonte della nostra musica d’arpa, ed è l’unica fonte dettagliata sulle tecniche arpistiche e sulle tradizioni.
Il Belfast Harpers Festival fu organizzato da un gruppo di patrioti Irlandesi che cercava di incoraggiare lo strumento e di salvare la sua musica per i posteri.
Il principale tra loro fu il Dr.James McDonnell, un patriota moderato, che pure suonava l’arpa e che era entusiasta della letteratura e della musica Irlandesi.
Dispose una commissione di 15 persone che organizzarono Festival, e nell’aprile del 1792 un annuncio comparve nel “Belfast Newsletter”, e in altri giornali in tutta l’Irlanda.
Gli arpisti erano invitati a Belfast in luglio “dove sarà distribuita una considerevole somma in premi proporzionali ai loro meriti”.
La commissione decise che a ciascun suonatore doveva essere riconosciuta una somma come incoraggiamento a partecipare, che si sarebbe dovuta suonare soltanto musica irlandese, che la qualità della musica sarebbe stata tenuta in considerazione per l’assegnazione del premio.
Purtroppo parteciparono soltanto dieci arpisti Irlandesi, e un Gallese.
Erano Dennis Hempson, di anni 97, cieco; Arthur O’Neill, di anni 58, cieco; Rose Mooney, di anni 52, cieca; Daniel Black, di anni 75, cieco; Hugh Higgins, di anni 55, cieco; Patrick Quin, di anni 47, cieco; Charles Fanning, di anni 56; Charles Byrne, di anni 80; James Duncan, di anni 45; William Carr, di anni 15; Williams The Welshman, il Gallese.
Per tre giorni questi arpisti in gran parte anziani suonarono il loro repertorio di musica Irlandese.
Erano vestiti semplicemente con vestiti filati in casa, qualcuno aveva dei bottoni d’argento.
Edward Bunting si muoveva tra di loro trascrivendo le loro musiche nel suo piccolo bloc-notes, e i cittadini di Belfast andavano e venivano, e pagavano mezza ghinea per il privilegio di ascoltare quella musica.
Finita l’esibizione, i giudici conferirono i premi di 10 ghinee, 8 ghinee e 6 ghinee che furono consegnati rispettivamente a Fanning, O’Neill e Mooney.
Tutti gli arpisti ebbero un pagamento, come promesso, e dopo una cena finale a casa del Dr.McDonnell, se ne andarono per le loro strade.
Per Bunting il Festival fu una ispirazione e una rivelazione, tanto che continuò a collezionare musica ancora per qualche anno.
Negli anni dei suoi viaggi organizzati al puro scopo di collezionare musiche, dal 1792 al 1809, trascrisse musiche da arpisti, cantanti e strumentisti.
Era davvero appena in tempo per salvare la musica d’arpa, perché già nel 1810 tutti gli arpisti che avevano partecipato al Festival erano morti.
Oltre a trascrivere la musica, Bunting registrò nella maniera più completa possibile, dettagli delle tecniche arpistiche dell’epoca.
Il suo resoconto include descrizioni dei vari abbellimenti e delle diteggiature, i nomi dati dagli arpisti alle corde, alle varie parti dell’arpa e ai differenti generi di musiche.
Descrive l’accordatura dello strumento, e i vari modi usati.
Dall’arpista Arthur O’Neill, del Dungannon, apprende un grande trattato sulla musica d’arpa e sugli arpisti, e sistema per lui la stesura delle sue inestimabili “Memorie”.
Queste “Memorie”, oltre a essere una originale fonte di informazioni sull’arpa antica, costituiscono anche un affascinante racconto della vita degli arpisti itineranti.
Eppure è necessario approcciare Bunting con un certo grado di cautela.
Egli aveva avuto precise istruzioni dalla Commissione del Belfast Festival di trascrivere la musica esattamente come suonata, senza alterare una singola nota.
Tuttavia, non obbedì a queste istruzioni.
Per quanto riguarda le tunes, egli le trascrisse abbastanza accuratamente, però era evidentemente perplesso dalle irregolarità di alcune delle musiche d’arpa più antiche.
Comunque, in molti casi egli non trascrisse le note basse, non sembrandogli che il sapore e lo stile della musica fosse largamente determinato dal modo in cui gli arpisti accompagnavano, ma piuttosto dagli abbellimenti e le decorazioni.
Bunting pubblicò tre volumi nel 1797 (la prima pubblicazione portava precedentemente la data 1796), nel 1809 e nel 1840, ed è chiaro che da una all’altra molto è cambiato.
Egli viveva in un periodo in cui il piano stava rapidamente diventando lo strumento più popolare tra tutti, e per andare incontro alle richieste di un vasto pubblico, arrangiò le musiche d’arpa per piano, dando un assetto progressivamente sempre più pianistico ad ogni edizione.
Comunque, benché avesse mancato l’opportunità di dare una trascrizione della musica così come veniva suonata, Bunting ci lascia le musiche e in molti casi i testi.
E’ troppo per noi, da una distanza di 200 anni, decidere come questa musica antica debba essere suonata.
Oggi questa musica si esegue con molti strumenti differenti, utilizzando ogni tipo di armonizzazione moderna, e anche quando è suonata sull’arpa, si usano arpe celtiche con le corde in nylon o budello.
Ma essa in effetti è stata scritta per l’arpa tradizionale, incordata con corde metalliche in ottone e suonate con le unghie, uno strumento la cui tecnica differisce considerevolmente da quella per l’arpa celtica con le corde in nylon o budello.
Per suonare questa musica in un’arpa moderna probabilmente si dovrebbe cercare di imparare tutto quanto è possibile dello stile originale, usando ogni disponibile fonte di informazioni.
Molto può essere appreso naturalmente da Bunting, e da altre raccolte di musiche.
Ma c’è anche un’altra fonte di informazioni.
Attraverso i secoli una delle caratteristiche salienti della cultura Irlandese agli occhi degli stranieri fu l’arpa, e il tam-tam dei viaggiatori attraverso i secoli da Giraldus Cambrensis nel 12° secolo allo scrittore tedesco Kohl nel 19° secolo, ha rimarcato i caratteri distintivi dello strumento e della sua musica, e hanno mostrato l’evidente consistenza di questa tradizione.
Giralndus Cambrensis, ad esempio, scriveva:
“la maestria degli arpisti isolani è superiore a quella di qualsiasi altro popolo. La musica è veloce e ben articolata anche se dura, e poco suadente all’orecchio. Ciò che stupisce maggiormente il viaggiatore è la capacità nella tenuta del ritmo e nel non perdere mai il senso della melodia anche nei più intricati passaggi polifonici.”
E’ chiaro da queste fonti che la musica era veloce e delicata. Era vigorosa e vivace, ma anche dolce e lamentosa, e c’era un forte contrasto tra le dolci note alte e l’audace risonanza dei bassi.
L’arpa doveva essere ben suonata, perché altrimenti il suono rimaneva invischiato nell’estrema risonanza delle corde di metallo.
Un buon suonatore era capace di variare il livello della risonanza usando la tecnica del damping, che consiste nello stoppare il suono di una corda o di un gruppo di corde mentre si suonano le note immediatamente successive.
Si faceva uso di decorazioni e abbellimenti, anche nella regolarità delle arie lente, e questo aggiungeva loro un carattere di leggerezza, con cui si poteva variare l’armonia cambiando le note stoppate per ogni ripetizione della sequenza.
A causa della risonanza residua, ciò regala possibilità infinite.
Le note caratteristiche della melodia erano poche e lontane tra di loro, spesso non necessarie.
L’accademico pentagramma del mondo della musica classica non era usato, perché l’arpista suonava in modo libero col ritmo educato e sottile della melodia Irlandese.
Una fonte fondamentale sull’arpa con le corde di metallo è l’arpa stessa, ora di nuovo facilmente reperibile dopo un silenzio di secoli.
Essa può procurarci, può darsi, le più importanti informazioni su tutto quanto riguarda la natura delle esecuzioni di arpa tradizionale.”
Liberamente tratto da: Ceol na gCruitirí, pubblicato nel 1992 da Gráinne Yeats, per l’etichetta Gael Linn, 26 Merrion Square, Dublin 2
Discografia:
Gráinne Yeats: The Belfast Harp Festival 1792, Gael Linn, 1992
The Chieftains: The Celtic Harp, RCA Victor, 1993
AAVV: The Ancient Music of Ireland – From the Collections of Edward Bunting, 2006
Bibliografia:
Edward Bunting: The Ancient Music of Ireland, Hodges and Smith, Dublin 1840.
AA.VV.: Sounding Harps, Music for the Irish Harps, Cairde na Cruite, 1990.
Edward Bunting: The Ancient Music of Ireland, Dover Publications, Mineola, New York,2000.
George Petrie: Ancient Irish Airs and Dances, Dover Publications, Mineola, New York,2002.
MARIO LIPPARINI