di Elena Zaniboni
Il Concerto per flauto e arpa k 299 è stato scritto da Mozart a 22 anni. Abbandonata Salisburgo perché insofferente delle vessazioni dell’arcivescovo Colloredo e passato da Monaco, Augusta e Mannheim, approda nuovamente a Parigi dove, fanciullo prodigio, aveva goduto del favore e dell’ammirazione di artisti, nobili e letterati. Da allora, però, sono passati più di dieci anni ed il nuovo volto della capitale francese non è così benevolo nei confronti di Mozart che credeva di trovare fortuna e nuove affermazioni. Il concerto K 299 è stato scritto nella primavera del 1778 su commissione di un personaggio altolocato, il duca di Guines, ex ambasciatore di Francia a Londra. Il duca suonava il flauto e la figlia l’arpa. Per sbarcare il lunario, Mozart dava lezioni di composizione alla figlia del duca ed accettò di scrivere il concerto pur non piacendogli né il flauto né l’arpa. Invece amava il clarinetto, per cui ha lasciato un concerto che può essere definito un monumento a questo strumento. Per noi arpisti è una risorsa avere in repertorio un nome famoso ed eseguito da secoli in tutto il mondo. Scrivendolo, Mozart ha anche contraddetto Rimsky Korsakov che definisce l’arpa strumento “quasi esclusivamente armonico o d’accompagnamento”. Da quel genio che era, Mozart, grazie alla sua straordinaria facilità compositiva, fa dialogare i due strumenti solisti anche con l’orchestra. In quell’epoca l’orchestra suonava in piedi, in uno stile elegantemente concertante. Poi, però, quando noi arpisti ci accingiamo a studiare Mozart, ci rendiamo subito conto della difficoltà interpretativa che ogni frase ci pone. Intanto per il flauto certi passaggi risultano più facili tecnicamente che per l’arpa e poi per il flauto è più facile”cantare” mentre noi arpisti arranchiamo cercando di “cantare” con le dita e contemporaneamente risolvendo passaggi cromatici con i piedi (pardon, con i pedali). Il primo tempo è “Allegro”. Nella mia musica, consumata dallo studio e in vari punti incollata, ho segnato varie indicazioni metronomiche . Da giovane partivo allo sbaraglio, poi, via via maturando, ho capito che in Mozart “Allegro” significa lo spirito con cui si suona e non la velocità. Il secondo tempo è “Andantino”. Che cosa voleva Mozart? Un tempo scorrevole ma non troppo. Gli accordi all’inizio sono segnati p, ma sono preceduti dagli archi segnati f. Che cosa deve essere in battere: il quarto dito della mano sinistra o il pollice della mano destra?
Il terzo tempo è “Rondò- Allegro”. Un delle difficoltà da superare è di fare la distinzione fra “legato” e “puntato”. Si potrebbe parlare all’infinito, per esempio, anche dei trilli. Ho una lettera del grande Nicanor Zabaleta, con il quale ho studiato all’Accademia Chigiana. Come si può vedere, mi scrive da Hannover come lui esegue i trilli, criticando le/gli arpiste/i che eseguono i trilli “fast”. Come sappiamo , esistono vari tipi di trillo. C’è il trillo per Bach, il trillo per Haendel, il trillo per Mozart e così via. La lettera è del 31 ottobre 1963 e la custodisco gelosamente. Così, come altrettanto gelosamente conservo la foto con dedica di Sandor Vegh. Sandor Vegh, celebre come violinista e musica da camera, nel1940 lasciò il Quartetto Ungherese per fondare il Quartetto Vegh, con cui nel 1946 abbandonerà l’Ungheria. Nel 1953, assunta la nazionalità francese, continuò le tournée anche in veste di direttore. L’ho conosciuto a Città di Castello, dove entrambi tenevamo lezioni di perfezionamento. Alla fine dei nostri corsi, sotto la sua direzione, suonai il Concerto K 299 per arpa, flauto e orchestra di Mozart (flautista Conrad Klemm e la Camerata Academica del Mozarteum di Salisburgo). Nel 1980 Vegh m’invitò a suonare il medesimo concerto proprio al Mozarteum di Salisburgo, dove, dal 1979, lui era il direttore della Camerata Academica. Suonare in quel tempio della musica e prodursi proprio in Mozart, che lì è compagno della vita di tutti, fu per me un’emozione senza precedenti. Racconto questa emozione e la descrivo ne “le corde dell’anima”, libro pubblicato nel 2014 da Curci (Milano). Sapevo perfettamente che Salisburgo è famosa in tutto il mondo grazie all’omonimo festival,tra i più prestigiosi sia per l’altissima qualità sia per la partecipazione di artisti e di pubblico internar nazionali. Già nel mettervi piede, percepìi la considerazione in cui qui si tiene l’arte dei suoni. Nelle vetrine dei negozi furoreggiavano le foto di Karajan. Addittura, agli automobilisti che mostravano il biglietto del concerto, i vigili davano la precedenza. Il nome di Herbert von Karajan era indissolubilmente legato al festival, che, sotto la sua guida, era diventato ancora più internazionale e meta di folle di appassionati. Avevo spedito un’arpa a Salisburgo e un’altra a Torino perché avevo un concerto alla RAI, ed essendo i concerti vicini come date non avrei fatto in tempo ad arrivare per le prove con lo stesso strumento. Ebbene, nonostante questa precauzione, la mia arpa diretta a Salisburgo venne fermata per controlli alla dogana italiana. Essendo chiuso il cassone, gli imbranati doganieri me la sequestrarono e la trascinarono non so dove trattenendola a lungo per aprirla. Mi fecero perdere una prova. A Salisburgo si scandalizzarono perché- mi assicurarono- i loro finanzieri non si sarebbero mai permessi di aprire la custodia di uno strumento senza la presenza del proprietario. Sàndor Végh aveva un eccezionale musicalità. Dirigeva Mozart non per batterne il ritmo, ma per disegnarne la linea melodica. Unica pecca la sua acuta sudorazione, che, mentre dirigeva, diventava indescrivibilmente nauseabonda.
Foto: Con Vegh e Pamina Blum al Mozarteum 1980
Senza esito alcuno, io cercavo di posizionare l’arpa in modo da non riceverne direttamente gli effluvi. Tali zaffate non ci azzeccavano per davvero con Mozart, il “divino fanciullo” pur fanatico delle più sconce inverecondie:dette, scritte e vissute. Grazie a Dio, noi ascoltiamo solo la sua musica, così come io mi sforzavo di sentire esclusivamente l’interpretazione di Végh. Una sera, questi e la moglie invitarono me e varie personalità del Mozarteum a cena a casa loro. Qui mi colpì un tavolo rotondo con incorporati quattro leggìi. Non ne avevo mai visto uno, mentre in Austria è piuttosto diffuso, data la consuetudine di quel popolo di far musica da camera tra amici non tanto per professione, quanto per pura esigenza spirituale. Andavo al Mozarteum un paio d’ore prima delle prove per accordare l’arpa e per studiare, e qui trovavo già l’orchestra che ripassava con il primo violino. In verità, loro non ripetevano le note in se stesse, ma mettevano a punto il peso di in accento o un pianissimo e così via:abitudine ignota in Italia, dove la maggior parte dei professori, arriva all’ultimo momento. La dedica di Sandor Vegh recita : Pro la grande artista Elena Zaniboni con ricordo pieno di ammirazione. Cordialmente Sandor Végh.
Altrettanto gelosamente conservo le dediche di altri direttori, per es. Peter Maag etc ….Pubblico questa lettera di Zabaleta affinchè le nuove generazioni possano imparare dai “grandi”.
Ho suonato moltissime volte il Concerto di Mozart sia in Italia che all’estero ed ogni volta che mi appresto a riproporlo, mi domando: sarà cosi che Mozart lo voleva? Durante un concerto a Vienna al Castello di Sconbrunn c’era l’effige di Mozart in una parete … Ho messo l’Arpa in modo da poter guardare anche Mozart oltre che le corde… Il mistero di Mozart è che per noi di questa epoca risulta molto difficile da eseguire, mentre i suoi contemporanei eseguivano le parti fresche d’inchiostro ( è notorio che talvolta Mozart consegnasse le parti all’ultimo momento) quindi senza averle studiate.
Al Teatro S.Carlo di Napoli (dir.Casadesus, fl.Ancillotti), All’Auditorio di Santa Cecilia a Roma (dir. Urbini, fl.Persichilli), All’Accademia Filarmonica Romana con i Solisti Veneti diretti da Claudio Sciamone (fl.Severino Gazzelloni), Al Teatro Bellini di Catania (fl.Severino Gazzelloni), Al Teatro Massimo di Palermo (dir. Neschling),Alla Sinfonica Siciliana (dir. Peter Maag, fl. Persichilli) con l’Orchestra Filarmonica di Bratislava, Alla Sinfonica Siciliana con il flautista Griminelli, Con l’Orchestra di Perugia (direttore Silveri, flautista Claudio Paradiso)