IL SONNO DEL BARDO: L’ARPA DI OSSIAN
Jean- Auguste- Dominique Ingres, Il sogno di Ossian (1813); olio su tela, m 3,48 x 2,75. Montauban, Musée Ingres.
All’ epoca in cui fu dipinto questo quadro, la Francia era il centro del dibattito artistico europeo, ed Ingres (1780 – 1867) stava per divenire il protagonista della pittura francese. Studiò dapprima all’ Accademia di Tolosa e in seguito a Parigi, presso la bottega del maestro J. L. David e all’ Ecole des Beaux- Arts; dopo aver vinto nel 1801 il Prix de Rome, il più ambito premio di pittura per gli studenti d’ arte, si stabilì in Italia dove visse per alcuni anni. Durante questa permanenza il giovane pittore ebbe modo di subire il fascino dei maestri rinascimentali, di Raffaello in modo particolare. Ed è proprio la somiglianza con i capolavori del Sanzio la caratteristica che colpisce maggiormente in Ingres: pittore purista, disegnatore dal tratto morbido e duttile, amante delle linee pulite, egli sapeva donare allo stesso tempo alle sue creature la levigatezza della porcellana e la pastosità della carne. I critici ostili avevano inventato una battuta pungente per denigrarne l’opera, che definivano en gris: con un chiaro gioco di parole tra la locuzione francese e il cognome del pittore si voleva affermare che Ingres dipingeva con colori piatti, scialbi, privi di vivacità. Per alcuni, un difetto; per i più, la chiave della perfezione di cui Ingres era capace.
Anche in questa tela possiamo riconoscere la mano inconfondibile del pittore: da uno sfondo scurissimo di tenebra emergono, come statue marmoree, figure bianchissime, irrigidite nelle pose convenzionali dell’ arte classica. Sono i ricordi personificati del bardo, addormentato sulla propria arpa: il padre Fingal in primo piano, armato, muove un passo nella sua direzione; sullo sfondo Oscar, il figlio ucciso a tradimento, abbraccia la moglie Malvina. Il soggetto di questo quadro è ben noto: si tratta di una raffigurazione di quel famoso bluff letterario che furono I Canti di Ossian, pubblicati oltre cinquant’anni prima dal poeta scozzese James Macpherson. Secondo quanto affermava egli stesso, Macpherson avrebbe raccolto composizioni del bardo Ossian, vissuto nel III secolo d.C.; in realtà egli aveva raccolto antiche ballate e liriche gaeliche, modificandole e collegandole con composizioni proprie, a creare un testo epico sulle gesta degli eroi Cu-chulain e Fingal. Il successo di questa raccolta fu, in ogni caso, eccezionale, tanto che lo stesso Napoleone Bonaparte ne divenne uno dei maggiori estimatori. Fu proprio Napoleone a commissionare ad Ingres questa tela, per la propria camera da letto nel Palazzo del Quirinale.
Il momento scelto per la rappresentazione è quello in cui Ossian, addormentato sul monte Cromla (ove si svolge l’ azione del poema), vede in sogno gli eroi della sua gente; l’ altezza della montagna è suggerita dal particolare punto di vista adottato, grazie al quale l’ osservatore ha l’ impressione di osservare la scena dal basso. Una bianca folla avanza, gli eroi pronti alla battaglia, le donne meste, rassegnate; al centro le figlie del Re della Neve (nient’ altro che il regno di Scandinavia) sembrano suonare tristi lamenti sulle loro minuscole arpe, mentre in lontananza le figure si perdono, immagini evanescenti che la mente del sognatore non riesce a catturare. La luce scivola sui corpi di alabastro, indugia su un torace, illumina una spalla per poi ritirarsi rapida lasciando nell’ ombra le figure ai lati. Il cono di luce centrale plasma e ricrea le visioni del bardo, obbedisce alla mente avvolta dal sonno popolando le nubi di fantasmi.
Unica nota di colore è proprio Ossian, avvolto in un mantello scarlatto. La luce colpisce il bianco capo reclinato e illumina le sue mani, a suggerire i due punti focali della figura: la mente che genera gli eroi e le dita che, sfiorando le corde, li faranno rivivere. Il bastone del bardo errante giace abbandonato ai suoi piedi e va a chiudere, insieme con la linea del mantello e la sagoma della roccia, l’ immaginario triangolo in cui è chiuso il corpo del bardo. Da notare che il vertice di questo triangolo, il capo di Ossian, coincide con quello del “triangolo rovesciato” formato dal cono di luce sovrastante, delineando una composizione quasi speculare. Ciò che è sopra nella tela è riflesso di ciò che è sotto, dunque: come se Ossian stesse osservando il proprio riflesso sulla superficie di un lago e al di sotto del velo d’ acqua, anziché se stesso, vedesse un mondo popolato dai propri eroi.
C’ è un costante senso di mestizia, in questo quadro. Il guerriero in primo piano dietro Fingal alza il braccio e lo scudo con un gesto deciso ma il suo grido rimane muto; alcuni soldati paiono addirittura addormentati, e abbiamo già visto come le figure femminili si abbandonino meste, sebbene piene di dignità. Come ben sappiamo, queste figure non esistono più: sono solo ricordi il cui rumore muore nel vento, per usare una suggestiva espressione di G. Apollinaire. I gesti di questa gente, il loro coraggio, la loro disperazione, possono rivivere attraverso la poesia e la musica; ma sarà solo un’ esistenza effimera, sembra dire il pittore, un pallido, etereo riflesso di ciò che fu. Le battaglie sono già state combattute e l’ esito è già conosciuto: e i nostri personaggi mostrano questa consapevolezza, a tratti quasi malinconica. Chiamati a vivere per il breve tempo di una lirica dall’arpa del bardo, presto svaniscono di nuovo nell’ oscurità, prigionieri di un’illusione senza tempo.
FRANCESCA FERRARESI