a cura di MARIANNE GUBRI
( ringraziamo VINCENZO ZITELLO per aver reso possibile questo straordinario incontro)
Alan Stivell (nato nel 1944) è considerato uno dei maggiori esponenti dell’arpa celtica in Bretagna e nel mondo. Nel 1953 intraprende lo studio dello strumento grazie a suo padre, Georges Cochevelou, che gli aveva costruito una piccola arpa celtica. Si esibisce insieme alla sua insegnante parigina Denise Mégevand che arrangia per lui alcune melodie tradizionali. Nel 1961 esce il suo primo album Telenn Geltiek interamente dedicato all’arpa celtica. Dagli anni 60 intreprende numerose collaborazioni con artisti e case discografiche e si afferma nel panorama del folk revival internazionale; ricordiamo in particolare l’album Renaissance de la harpe celtique (1971) e il concerto all’Olympia di Parigi nel 1972 (il cd live supera il milione di copie vendute). Nel 1980 esce il suo album doppio Symphonie Celtique. L’artista sviluppa contaminazioni con il rock, la world music, la musica classica e l’elettronica, affermando la sua identità bretone e celtica a livello musicale, culturale e spesso anche politico. Effettua tournées internazionali e collaborazioni con artisti tra cui Angelo Branduardi, Kate Bush, Youssou N’Dour, Khaled, Jim Kerr e molti altri. Riceve numerosi premi tra cui il Premio Tenco e una nomination ai Grammy Awards. Artista poliedrico (è anche cantante, suonatore di cornamusa e di flauto) e instancabile, ha all’attivo 50 anni di carriera e 24 album; l’ultimo, Amzer, è uscito nel 2015.
Innanzitutto, grazie Alan per aver accettato questa intervista per l’Associazione Italiana dell’Arpa. Partiamo dall’identità bretone. Molti artisti rivendicano la loro appartenenza ad un popolo e ad un territorio scegliendo di suonare solo il repertorio celtico, bretone, scozzese, irlandese, Lei invece, sin dagli inizi, ha cercato la fusione con il rock, poi con le musiche afro e tribali, ora con l’elettronica. Che cos’è riconoscibile come stile bretone? Che cos’è la musica celtica oggi? Lei pensa che queste fusioni potrebbero creare nuovi linguaggi, nuove culture o nuovi stili musicali?
Alan: Il mio percorso è iniziato dalla fusione, all’epoca una novità, delle musiche celtiche. Nello stesso tempo, da un’altra fusione: l’unione musica celtica – musica classica. Poi effettivamente, il rock e le influenze anglo-americane. Molto velocemente si aggiungono multiple influenze etniche dal mondo. L’elettronica: lei dice “adesso”, ma per me inizia dalla fine degli anni 70, per affermarsi sin dalla metà degli anni 80 e ancora più chiaramente nella prima metà degli anni 90; sono quindi circa 30 anni. Non è in effetti il primo percorso cronologicamente, ma si fonde bene con la mia attrazione per la fantascienza che risale alla mia infanzia. Le identità bretoni, o più generalmente, celtiche, come ogni identità, si possono concepire nel modo più light fino a quello più deciso. Molto generalmente, si tratta, da noi, di un’identità light: qualche elemento identifica l’origine del musicista (parole in Bretone, la presenza di una bombarde, di una cornamusa scozzese, di un tema tradizionale, ecc.). Quello che potrebbe sembrare paradossale, ma credo logico nel mio percorso, è che mentre sostengo le esperienze di fusione con la Terra intera, l’altro ‘partner’ della fusione deve essere di una celtitudine estrema. Credo di aver dato, più di altri, una grande importanza a criteri celtici. Sarebbe troppo lungo ricordare qui la mia analisi; sappiamo che ogni musica, compresa quella celtica, è sempre mescolata con l’epoca e con altre culture. E quello che è stato creativo nel passato, come ad esempio le nuove fusioni (tra le quali quelle che proponevo ai miei inizi) lo è ancora e lo sarà in futuro. Ho per esempio inventato l’arrangiamento all’arpa del picking della chitarra folk americana. Questo permette alcuni sviluppi e facilita una libertà melodica di carattere rubato su un tempo marcato. Il mio utilizzo remoto (metà anni 60) degli effetti elettronici (disto, ecc.) ha aperto anche delle possibilità. È vero che molti di questi effetti sono già embrionali, acusticamente, nella musica celtica tradizionale, ma ciò facilita e giustifica ancor di più il loro impiego.
L’arpa celtica stessa è diventato uno strumento a sé stante con la sua tecnica, il suo repertorio e anche la sua estetica. Numerosi arpisti, insegnanti, scuole e liutai sono nati grazie alla Rinascita effettuata da Suo padre Georges Cochevelou e da Lei stesso. Le siamo tutti infinitamente riconoscenti. Oggi lo strumento si è molto evoluto e ha spinto l’innovazione fino ai confini dell’elettrificazione dell’arpa. Molti arpisti operano ora una fusione di stili tra le numerose tradizioni classiche, jazz, moderne, pop, etniche, al punto che diventa anche difficile denominare lo strumento ‘celtico’, come se questa parola fosse troppo riduttiva. Come immagina l’avvenire di questo strumento?
Alan: Nei primissimi anni 60, le rare Irlandesi che suonavano quest’arpa lo facevano effettivamente in un modo abbastanza minimalista e soltanto per accompagnare il loro canto. È per rispondere a questo che mio padre ha avuto l’idea di costruire uno strumento nuovo.
Lo è dunque diventato dagli anni 50. È vero però che non tutti gli arpisti lo hanno accolto in questo modo, ma sicuramente di più oggi.
Sul termine celtico?
Per quanto mi riguarda, rispondo di sì, comprese le mie innovazioni per lo strumento stesso. Personalmente non vedo perché dovremmo abbandonarlo. Sarebbe un atto di generosità che nessuno ci richiede. A parte i nostri complessi?… Per tutto quello che si fa sulla linea del lavoro del binomio con Cochevelou, non c’è nessuna ragione di togliere questo marchio d’origine. Se invece consideriamo che molti musicisti non hanno la difesa della cultura celtica nel loro manifesto, possiamo ammettere che trovino onesto sbarazzarsi di questo marchio identitario. Mi rimane un po’ di tristezza in questo caso, perché non aiutano la mia lotta per la sopravvivenza dei popoli celtici. Ma la libertà di tutti rimane una priorità.
Per quanto riguarda l’esplorazione di tutti gli stili, come lo sapete, sono vari decenni che li percorro: una novità per alcuni(e). L’ultima in ordine cronologico è quella di suonare tutto un brano utilizzando l’arpa come “un’autoarpa” (grattando e smorzando le corde). L’avevo fatto (come forse altri) soltanto occasionalmente.
Canta, suona altri strumenti come la bombarde. Ma sembra che l’arpa, sin dagli inizi rimanga lo strumento prediletto. Perché? Che cos’ha di così particolare?
Alan: Avevo 7 anni quando ho lasciato il pianoforte. Poi ci fu l’arpa celtica e mi sono come assimilato allo strumento. Gli altri strumenti mi sono sempre sembrati secondari. L’arpa celtica ha il vantaggio di essersi integrata alla nostra cultura prima degli altri (eccetto il flauto?). Senza contare la sua forza mitica che ci porta nel profondo. Ma subito dopo l’arpa celtica, posiziono la cornamusa irlandese che mi ha molto influenzato.
Per un giovane arpista oggi è facile ascoltare migliaia di concerti live e online, scaricare nuovi spartiti, o ancora prendere lezione con i migliori specialisti per ogni repertorio e tecnica. Davanti ad una tale rosa di possibilità potrebbe essere facile perdersi. Quali consigli darebbe a chi desidera intraprendere oggi la via di arpista-compositore e esprimersi sul palcoscenico?
Alan: Credo che si possa sempre riferire al mio lavoro e alle mie registrazioni più oralmente piuttosto che agli spartiti editi, che rimangono approssimativi, per mancanza di tempo. Se uno si dedica ad uno stile particolare come l’arpa bardica, possiamo certamente “vedere altrove” con degli arpisti come Violaine Mayor. Per il jazz ci sono tanti nomi per cui non è facile indicarne soltanto uno. Stessa cosa per l’arpa latino-americana. E in Italia avete maestri come Vincenzo Zitello.
Percorrendo la sua discografia, siamo sorpresi di ascoltare ogni volta una nuova avventura, un nuovo orizzonte sonoro. Cosa La spinge ad essere sempre all’avanguardia e innovatore?
Alan: È semplicemente una questione di personalità. Alcuni musicisti preferiscono perfezionare un ambito per tutta la vita, come l’arpa o la musica classica. E fortunatamente, queste persone esistono. Io non sto mai fermo, sono nomade, sono curioso dello sconosciuto, della scoperta di terre vergini e di sentieri poco battuti. Alcuni sono significativi ora, e non lo erano per niente ai miei inizi. E ne scopro sempre dei nuovi.
Sin dagli inizi, la sua carriera è stata folgorante, immediata e musicalmente magnifica. Si è sempre circondato di artisti eccellenti. Cosa La spinge a cercare il meglio ad ogni istante?
Alan: Qui non c’è niente di particolare in me, mi sembra che cerchiamo tutti il meglio, e vorremmo sempre che fosse meglio del meglio. È raramente così: conosco i difetti.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Alan: Quando potrò, mi piacerebbe produrre un lavoro molto contemporaneo dove utilizzerò tecniche che sono solo in gestazione oggi.
Nel frattempo, lavoro su una sorta di antologia dove questa volta metterò in rilievo quello che intendo veramente con Musica celtica (con un testo esplicativo). E rivisiterò anche la mia Symphonie celtique (1979). Spero che mi rimarrà un po’ di tempo per un album nuovamente dedicato all’arpa celtica (con o senza canto). Per il momento, con il mio liutaio attuale Tom Marceau, lavoriamo ancora su una nuova arpa.
Che cos’è essere creativo per lei oggi? Un processo innato, una disciplina di lavoro e di vita, un’onda che bisogna seguire o domare?
Alan: Per quanto mi riguarda, faccio un mix strano tra libera improvvisazione secondo l’umore del momento, mentre mi programmo abbastanza razionalmente le esplorazioni che devo compiere.
La sua musica è spesso stata associata ad una militanza legata all’identità culturale bretone, poi alle minoranze in generale. Ha instillato un vento di libertà e di coraggio per numerose generazioni. Qual’è la Sua missione oggi come artista?
Alan: Provare a coniugare insieme la libertà, artistica o semplicemente individuale, con una difesa e una pedagogia che favorisca la sopravvivenza della specie culturale celtica. Quest’ultima è indispensabile per la diversità del pensiero e della cultura dell’umanità. Questo passa forzatamente attraverso delle questioni politiche come l’autonomia bretone.
Sembra sempre circondato di dolcezza, di calma e d’armonia, qual è il suo segreto?
Alan: Il bisogno di essere ‘zen’ e la ricerca di armonia è una auto-terapia. Mi permette di vivere non troppo male tra i disturbi del mondo e a volte del lavoro. Provo, finché mi è possibile, di contagiare altri attorno a me. Forse ci riesco un po’ a volte.
Per seguire le prossime tappe di Alan Stivell