Dei numerosi artisti ottocenteschi Dante Rossetti è probabilmente uno dei più conosciuti ed apprezzati. Il suo tocco è squisito, sospeso com’ è tra delicatezza e passione; i suoi colori, profondi e vibranti, sono inconfondibili. Tanta fama ha creato intorno alla figura di Rossetti un’ aura mitica che, se pure ha contribuito a diffonderne l’ opera, ne ha spesso sottovalutato il valore, riducendola qua e là a una semplice iconografia da cartolina. Di Rossetti è stato detto che fu “ un musicista che ha grandi melodie in testa ma che non sa ancora eseguire perfettamente le scale”. E’ una definizione che si applica perfettamente a Rossetti, che fu pittore e poeta, allievo insofferente per quanto talentuoso, artista carismatico e passionale. Nato nel 1828 a Londra, figlio di un esule mazziniano, dimostrò fin da ragazzo una spiccata attitudine per il disegno; studiò alla Scuola d’ Arte Sass e nel 1845 fu ammesso alla prestigiosa Royal Academy. Nel 1848, tollerando sempre meno le convenzioni accademiche, fondò con i compagni di studio William Holman Hunt e John Everett Millais la cosiddetta ‘Confraternita dei Preraffaelliti’: si trattava di una ristretta cerchia di artisti che si richiamavano ai cosiddetti ‘primitivi italiani’, Botticelli, Mantegna, il Ghirlandaio. Tutti grandi narratori ma soprattutto, per i Preraffaelliti, esempi morali che dovevano essere introdotti nella vuota,ipocrita società vittoriana per risanarla.
Al di là delle premesse essi seppero creare una forma artistica particolarmente gradevole e, attraverso un complesso gioco di rimandi e influenze, ad imporsi ben oltre la fine del secolo. La pittura dei Preraffaelliti era una sorta di narrazione figurata, nella quale veniva riconosciuta alla natura un’ intrinseca poeticità; quest’ ultima, al pari di un messaggio divino, doveva essere svelata lentamente, decifrata attraverso una tecnica accuratissima. L’ artista cercava nell’ intimo della propria esperienza quell’ illuminazione e quell’ umile operosità necessari per dare profondità alla propria opera, senza mai trascurare il benché minimo dettaglio della rappresentazione: i particolari erano le chiavi per entrare in comunione con la natura, svelandone il mistero.
Rossetti aggiunse a questi punti saldi una particolare predilezione per le inebrianti, ossia quelle particolari figure femminili che allo stesso tempo alimentavano e ossessionavano la sua creatività: modelle, pittrici, popolane dai capelli ramati. Potevano essere creature angeliche dal fascino fragile e malinconico, come l’ amata moglie Lizzie Siddal o come Jane Morris, moglie del l’ amico pittore William Morris; potevano essere bellezze terrene, dal fascino languido e decadente, come Fanny Cornforth o Alexa Wilding, che posò per la figura seduta de La Ghirlandata. Si tratta di uno dei diversi soggetti a tema musicale, in molti casi di difficile interpretazione, che Rossetti dipinse all’ inizio degli anni Settanta. Questo olio su tela in particolare venne realizzato quando il pittore si trovava ospite di Morris a Kelmscott Manor, nel Gloucestershire, dopo un fallito tentativo di suicidio. La struttura è piuttosto semplice: una fanciulla siede tra la vegetazione lussurreggiante pizzicando appena le corde di un’ arpa, mentre dall’ alto due volti angelici ( per i quali Rossetti prese a modello May, la giovanissima figlia di Morris) osservano la scena. Il verde, colore dominante, sembra irradiarsi dall’ abito della giovane diffondendosi tutt’ attorno su rami e foglie e creando un magnifico contrasto con i capelli fulvi della modella. Anche la tecnica, in questo caso, è superba: i colori ad olio appaiono leggeri ed eterei senza perdere in profondità. Per ottenere questo effetto, Rossetti era solito stendere i colori ad olio con pennelli da acquerello, in modo da ottenere una particolarissima brillantezza. La sua grande capacità di mettere a fuoco la bellezza femminile emerge qui nel tratteggio delicato dei volti, in cui spiccano i grandi occhi e le labbra vermiglie, e nell’ elegante disegno delle mani. E’ soprattutto grazie a questi particolari che le figure femminili di Rossetti appaiono così intense. Spiritualità e sensualità spiccano con pari forza sulla pelle diafana del viso della Ghirlandata, trovando la loro quintessenza nelle lunghe dita sottili che accarezzano le corde dell’ arpa. La scena suggerisce un senso di quieta sospensione, come se l’ osservatore fosse entrato improvvisamente nella radura in cui la giovane tiene il suo concerto campestre costringendola ad alzare lo sguardo. Sono proprio gli sguardi la prima chiave per decifrare la nostra tela: quello, apparentemente distante ma in realtà puntato sull’ osservatore, della figura centrale e quelli lontani, vagamente malinconici degli angeli. L’ osservatore è chiamato nel cuore della scena ma allo stesso tempo ne viene tenuto a distanza, in un continuo gioco di forze tra l’ ammaliante suonatrice e i suoi celesti spettatori. Nonostante l’ atmosfera bucolica e apparentemente serena sotto questa tela si percepisce lo scorrere di un sottile malessere, specchio del disagio interiore di Rossetti. Ecco allora che i fiori rappresentati nel dipinto diventano la nostra seconda chiave di lettura. L’ arpa è sormontata da una elegante corona di rose e caprifogli, una tradizionale simbologia amorosa. Ma il tenero caprifoglio è una pianta tenace, che si arrampica caparbiamente lungo creste e burroni. La delicata rosa, simbolo tra l’altro di silenzio e discrezione, nell’ antichità veniva talvolta raffigurata sul capo di Ecate, divinità degli inferi.
Sulla destra una clematide, coltivata all’ epoca come simbolo di fortuna e buon auspicio, si avvicina al braccio della giovane come se volesse avvinghiarla. Non a caso la clematide, pianta curativa e velenosa allo stesso tempo, era considerata simbolo del legame amoroso.
In primo piano poi spiccano bellissimi fiori di un blu intenso, identificati ora con il velenoso aconito, ora con l’ innocuo delfinio. William Michael Morris, fratello di Dante Gabriel, scrisse nel 1884 che con ogni probabilità il fratello, tutt’altro che esperto di botanica, aveva probabilmente dipinto fiori di aconito scambiandoli per fiori di delfinio, simili nell’ aspetto. Nell’ antichità l’ aconito era un’ erba sacra ad Ecate e simboleggiava il lato oscuro di Venere; ancora nel Medioevo era una potente erba magica con la quale si consacravano le lame rituali. Forse Rossetti commise davvero un banale errore dipingendo quei fiori blu e non c’è quindi alcun intento fatalista nella tela. Eppure non si può negare che il vago sapore decadente della Ghirlandata trovi il suo coronamento nella simbologia floreale: amorosa sì, ma di un amore cupo e doloroso. Proprio come l’aconito, che può essere sia un potente farmaco che un veleno letale. E allo stesso modo il linguaggio pitorico di Rossetti sembra raccontare tutto, mentre in realtà tutto nasconde.
Nel dicembre del 1881,quasi vent’anni dopo la morte di Lizzie, Rossetti fu colpito da un attacco che lasciò paralizzato al braccio e alla gamba sinistri. Da oltre trent’ anni non esponeva quasì più le proprie opere, raramente comprese e ben accolte da pubblico; la dipendenza da alcol e droghe negli ultimi anni gli aveva reso quasi impossibile reggere saldamente il pennello. Pose fine alla lunga relazione con Fanny Cornforth e nel febbraio dell’ anno successivo si recò in convalescenza a Birchington-on-Sea, nel Kent, ove morì pochi mesi dopo. Fu sepolto nel piccolo cimitero locale; sulla lapide progettata dall’ amico e antico maestro Ford Madox Brown un epitaffio: “celebrato tra i pittori come pittore e tra i poeti come poeta”.
Il fulgido avvenire dei Preraffaelliti e delle loro opere, però, era appena iniziato.