di Tiziana Grande
Nei primi anni dell’Ottocento Napoli era uno dei principali centri musicali d’Europa. Le sue scuole di musica, i suoi teatri, le diffuse attività spettacolari pubbliche e private, davano lavoro a molti musicisti del Regno e attiravano in città anche molti musicisti forestieri. La vita musicale era sostenuta economicamente dalla Casa Reale ed eccellenze universalmente riconosciute, come il Teatro San Carlo, rappresentavano un motivo di vanto e orgoglio per il governo borbonico. Con l’arrivo dei Francesi (1806-1815), un’attenzione ancora maggiore fu riservata alla musica e al teatro, e un ampio progetto riformistico fu messo in atto per la sistemazione e riorganizzazione del settore. Sul modello del Conservatoire de Paris fu istituito, nel 1807, il Real Collegio di Musica, prima scuola pubblica di musica in Italia, erede degli antichi Conservatori partenopei; furono istituiti gli Educandati femminili per l’istruzione «di nobili e ben nate donzelle» e fu aumentato il finanziamento governativo annuo (la ‘dote’) per il teatro San Carlo, dai 4.000 ducati del 1806 ai 45.000 del 1809.[1] Il nuovo assetto dato al settore della musica dai francesi, sul modello di quanto Napoleone aveva fatto in Francia, rappresentò una svolta così determinante da ripercuotersi anche negli anni a venire, dopo il ritorno del governo borbonico. Anche il repertorio in voga in Francia fu importato nel meridione d’Italia, comportando grandi cambiamenti nel gusto musicale dei napoletani e imponendo radicali riforme alle compagini strumentali dei teatri e della Cappella reale. Nuove forme spettacolari, complesse come quelle della tragédie lyrique, ammaliarono il pubblico partenopeo, che fu introdotto alle nuove sonorità di un’orchestra che per la prima volta comprese stabilmente strumenti come i tromboni, il serpentone e l’arpa.
Antonio Niccolini, Prospetto distributivo le rispettive località dei individui professori componenti l’Orchestra per R.e Teatro S. Carlo [incisione, 1816 circa]
Prima ‘virtuosa d’arpa’dei teatri reali San Carlo e Fondo, e della Cappella Palatina, fu Caterina Tagliolini, moglie del celebre incisore Filippo Rega, la cui presenza in orchestra fu imposta dal governo di Murat nei contratti d’appalto dei teatri reali a partire dal 1811. «La Signora Rega, grande nella musica istrumentale quanto il suo chiarissimo consorte tra i primi incisori d’Europa, fece per la prima volta echeggiare del suono melodioso della sua arpa la sala del Fondo e non potersi produrre un incantesimo maggiore» scriveva il Monitore delle due Sicilie il 29 luglio 1811, in occasione dell’esordio della Rega sulle scene napoletane. Lo straordinario ruolo di cui l’arpista godette fu attestato non solo dalla stampa periodica, ma anche dai numerosi privilegi a lei riservati: un salario inferiore solo a quello del primo violino, una cospicua sovvenzione aggiuntiva ricevuta direttamente dal Re per il suo servizio a corte, un palco di quarta fila per ogni sera di spettacolo nei reali teatri. Il ruolo dell’arpa nella nuova compagine sancarliana, visibile anche dalla posizione centrale che lo strumento aveva nella disposizione dell’orchestra,[2]va messo in rapporto con le nuove produzioni che il Massimo napoletano propose in quegli anni (opere mozartiane, tragédie lyrique in versione italiana) e anche con alcune opere originali di autori napoletani che si ispirarono al modello francese. Ne è uno straordinario esempio la bella aria per voce ed arpa obbligata Figlio mio vendetta avrai, inserita da Nicola Manfroce nell’ opera Ecuba, del 1812, scritta verosimilmente per Caterina Rega.[3]
Raffaele D’Auria, I figli di Re Francesco I [acquerello, 1830 circa]
Costanzo Angelini, Ritratto di Caterina Rega – olio, 1820 circa
Giunta ad avere circa novanta elementi, l’orchestra del San Carlo, diretta dal celebre Giuseppe Festa, divenne «la più numerosa e tra le migliori d’Europa» sotto l’impresa di Domenico Barbaja, tra il 1809 e il 1840. Noto per il suo raro intuito nella scelta di compositori e cantanti, Barbaja curò molto anche l’orchestra, scritturando i migliori strumentisti d’Italia e anche stranieri per i suoi teatri. Avendo conosciuto a Milano le straordinarie doti virtuosistiche del bergamasco Clemente Zanetti (1797-1837), enfant prodige dell’arpa, già celebre nei salotti lombardi, lo scritturò dapprima per il Teatro alla Scala, nel 1818, e poi per i Reali Teatri di Napoli nel 1819. Trasferitosi a Napoli, Clemente Zanetti fu molto apprezzato sia come virtuoso che come insegnante, divenendo, nel 1825, maestro della Real corte dFrancesco I di Borbone e maestro d’arpa dei due Reali Educandati femminili “Regina Isabella” dei Miracoli e di San Marcellino. Tra i suoi numerosi allievi annoverò esponenti della migliore nobiltà napoletana e le principesse reali, figlie di Re Francesco I e della regina Isabella, ritratte all’arpa in un bell’acquerello di Raffaele D’Auria conservato nella Reggia di Caserta. La principessa Maria Cristina, divenuta poi regina di Spagna, istituirà a Madrid, nel 1830, il Conservatorio di quella città sul modello del Collegio di musica di Napoli, introducendo da subito lo studio dell’arpa, strumento a lei molto caro. Clemente Zanetti pubblicò a Napoli molta musica scritta per la nuovissima arpa Erard a doppio movimento che egli fu tra i primi, in Italia, a usare. Morì a Napoli durante l’epidemia di colera del 1837.[4]
Felice Lebano [fotografia tratta da L’arte pianistica del 31 ottobre 1920]
Lo stuolo di allieve che Zanetti aveva avuto nei Reali Educandati venne affidato all’arpista Filippo Scotti (? – 1886)che, nel 1839,fu nominato anche primo insegnante di arpa presso il Collegio di musica di Napoli. L’introduzione dello studio dell’arpa nel conservatorio, la nomina dello Scotti e l’acquisto di due arpe da parte del Collegio di musica sono testimoniati da un documento conservato presso l’Archivio storico di San Pietro a Majella che attesta una significativa trasformazione del modo di concepire lo studio dello strumento, divenuto da dilettantistico a professionale.[5] Nel 1861, il governo del nuovo Stato unitario decise di sospendere le lezioni di arpa presso gli Educandati femminili, considerandolo un lusso, e suscitando le rimostranze delle famiglie delle alunne e del maestro Filippo Scotti, che per tanti anni aveva onorevolmente servito il governo borbonico. Solo nel 1874 il gentil sesso avrebbe avuto accesso agli studi nel Conservatorio San Pietro a Majella. Nel frattempo Filippo Scotti educò allo studio dell’arpa un buon numero di allievi maschi, divenuti virtuosi destinati a diffondere lo studio di questo strumento in Italia e all’estero. Tra questi vanno annoverati almeno arpisti come Francesco Bellotti, poi divenuto primo professore di arpa al Conservatorio di Palermo, Alfonso Scotti, Michele Albano, Eugenio Ceci, e Felice Lebano, che dopo un’intensa attività concertistica divennero professori di arpa in diversi Paesi del sud America, Sebastiano Caramiello, arpista presso la corte imperiale russa, Giovanni Caramiello, che succederà allo Scotti come maestro di arpa nel Collegio napoletano. L’introduzione delle scuole femminili,nel 1874,comportò un aumento del numero degli alunni tale da condurre, per qualche anno, allo sdoppiamento della cattedra.
La classe di arpa di Giovanni Caramiello al Conservatorio di Napoli [fotografia, 1905 circa]
Già affermato concertista, Felice Lebano(1857-1919) occupò il posto di docente della seconda cattedra d’arpa in San Pietro a Majella a partire dal 1880. Come si evince dai documenti amministrativi del Conservatorio, a lui furono affidate le classi maschili mentre a Filippo Scotti quelle femminili.[6] Quando nel 1886 l’istituto bandì un concorso per il posto rimasto vacante a causa del pensionamento dello Scotti, Lebano preferì rinunciare all’insegnamento per continuare la sua brillante attività concertistica, documentata anche da alcuni opuscoli a stampa contenenti le recensioni entusiastiche comparse sui giornali di tutto il mondo.[7]Nominato arpista da camera della regina Isabella II d’Inghilterra e arpista della corte di Spagna, egli si esibì in tutta Europa, spesso in duo con il grande violinista Pablo de Sarasate, e nelle Americhe (New York, Rio de Janeiro, Montevideo, Santiago del Cile), per poi stabilirsi definitivamente a Buenos Aires, dove diventò «il maestro prediletto di circa mille alunne» e dove per molti anni organizzò i Concerti Angelicali«ai quali prendevano parte settanta, ottanta signorine, vera pleiade di fanciulle elettissime formanti un insieme di leggiadria sulle grandi scene dei teatri dell’Opera, Coliseo, Colòn».[8] Nel 1904, dopo anni di assenza,il celebre artista tornò in Europa per una lunga tournée che lo vide anche protagonista di un memorabile concerto a Parigi con il pianista Paderewski e che lo portò a esibirsi in numerose città italiane e anche a Napoli, nel suo conservatorio, la mattina del 25 gennaio 1904, alla presenza del direttore Giuseppe Martucci e del vecchio compagno di studi Giovanni Caramiello, divenuto titolare della cattedra di arpa nel 1886.
Alberto Salvi [fotografia, collezione La classe di arpa di Giovanni Caramiello al Conservatorio di Napoli [fotografia, 1905 circa]
Ultimo insegnante di un’eccellente scuola arpistica sviluppatasi a Napoli nel corso di tutto l’Ottocento, Giovanni Caramiello (1838-1938) può definirsi il maestro che provò a sistematizzare la prodigiosa tecnica virtuosistica che distingueva lui e i suoi predecessori, producendo un’ampia letteratura didattica, in parte pubblicata. Ispirata e improntata alla coeva didattica pianistica, resa eccellente in quegli anni a Napoli da numerosi esponenti provenienti soprattutto dalla scuola di Beniamino Cesi, la scuola di Giovanni Caramiello si formò, da un lato, sullo studio di una ferrea tecnica delle dita e, dall’altro, sullo studio del repertorio classico, inteso come repertorio clavicembalistico del Settecento.«L’imperfezione nella quale si trovava l’arpa, nel secolo d’oro della Musica, fece sì che i sommi Maestri dell’arte non si occupassero di questo istrumento, sicché volendo dare una seria educazione di musicista ad una scuola d’arpa, e volendo nutrire l’insegnamento di questi testi che formano la grandezza musicale, non si poteva fare altrimenti che ricorrere alla musica scritta per gli strumenti a tastiera, e tra questa ve n’è molta adattabile al tecnicismo dell’arpa» scriveva Caramiello nella premessa a un volume di ‘pezzi classici’ di Porpora, Rameau, Muffat, da lui scelti e trascritti, ma rimasti inediti e ancora in possesso degli eredi.[9]La sua vasta produzione come compositore,oltre ad opere didattiche, comprese anche variazioni e parafrasi d’opera, secondo il gusto assai diffuso all’epoca di una produzione solo apparentemente salottiera. La parafrasi su temi d’opera conteneva, infatti,elementi di virtuosismo tale da far sviluppare enormemente la tecnica strumentale, contribuendo alla ricerca di una raffinata tecnica timbrica, così necessaria per tentare di riproporre il colore della voce sulle corde dello strumento. Ispirandosi alla tecnica della cantabilità,così familiare ai pianisti della coeva scuola che discendeva da Sigismund Thalberg, Caramiello compose variazioni su celebri opere come Norma, Traviata, Lucia di Lammermoor, Barbiere di Siviglia, ma utilizzò anche a scopo didattico l’arte della variazione scrivendo Le serenate del Vesuvio. Sei melodie popolari trascritte e variate per arpa in forma di studi, op. 12, piccole composizioni didattiche dedicate ognuna all’approfondimento di un aspetto della tecnica arpistica e ispirate a note melodie di Guglielmo e Teodoro Cottrau, Michele Ruta, Lauro Rossi. In Rimembranza di Napoli, fantasia per arpa sopra motivi popolari op.6, una delle più riuscite composizioni di Caramiello per il perfetto equilibrio tra forma, virtuosismo, rispetto della tradizione popolare e ricorso a stilemi tipici della tradizione colta, Caramiello prese ispirazione da due celeberrime canzoni napoletane, Fenestacalucive e Santa Lucia, a conferma del fatto che la tradizione canora napoletana godeva della stessa considerazione e diffusione dell’opera, negli ambienti borghesi cittadini. Seppur il brano, dal punto di vista tecnico-interpretativo, presenti le caratteristiche di un vero e proprio ‘pezzo da concerto’, la sua funzione rimase iscritta nell’ambito dell’Hausmusik, non essendo ancora maturata del tutto, a quel tempo, la concezione di una musica strumentale con un valore estetico proprio, ma sempre asservito a una funzione o didattica o d’intrattenimento.
La classe di arpa della prof.ssa Lucia di Sapio del Conservatorio di Napoli con il Maestro Francesco Caramiello al termine di un concerto dedicato alla scuola arpistica napoletana
Con questi strumenti didattici, la scuola di Giovanni Caramiello produsse numerose allieve e allievi. Tra essi, uno dei più grandi arpisti del Novecento, Alberto Salvi (1893-1983) che, da Viggiano, si iscrisse al Conservatorio di Napoli nel 1907 per uscirne diplomato il 19 luglio 1913.[10] Trasferitosi pochi mesi dopo, con la famiglia, negli Stati Uniti d’America, Alberto Salvi si esibì con cantanti del rango di Caruso, Gigli, Schipa, diventando presto un vero divo delle sale da concerto, acclamato, strapagato e definito dalla stampa ‘il Paganini dell’arpa’.Esploratore delle possibilità timbriche, tecniche ed espressive dello strumento, Salvi trasformò l’arpa da strumento salottiero a strumento da concerto e fu primo interprete di molte composizioni per arpa solista e orchestra con la Chicago NBC Orchestra. Autore anche di alcune composizioni, Alberto Salvi incise numerosi dischi 78 giri per la RCA Victor che rappresentano uno straordinario documento sonoro del suo incredibile virtuosismo, rimasto a tutt’oggi ineguagliato.[11]
[1]Cesare Corsi, Un’ “armonia competente”. L’orchestra dei teatri reali di Napoli nell’Ottocento in «Studi Verdiani», n.16, Parma 2002, pp. 21-97.
[2] Antonio Niccolini, Prospetto distributivo le rispettive località dei individui professori componenti l’orchestra per R.e Teatro S. Carlo, [circa 1816], pubblicato in Le Orchestre dei teatri d’opera italiani nell’Ottocento, a cura di Franco Piperno, in «Studi Verdiani» n.11, Parma 1996, p.217 [vedi foto].
[3] Cesare Corsi, Un’ “armonia competente”, cit., in particolare pp. 36-37
[4]Giuseppe Mascia, Clemente Zannetti in «Gazzetta Musicale di Napoli», a. XIII (1865) nn.24, 25,26.
[5]Disposizioni ministeriali relative all’istituzione dell’insegnamento dell’arpa nel Real Collegio di musica e affidamento dell’incarico al Maestro Filippo Scotti, Napoli 10 Aprile 1839, CM NAas, Conservatorio di musica San Pietro a Majella, Archivio amministrativo, «Scotti Filippo Professore di Arpa » fascicolo 51-9-B.
[6]Stato Generale degli alunni ed alunne divisi per classi Anno scolastico 1880-1881-1882. Alunni e alunne delle classi dei professori Scotti e Lebano, CM NAas, Conservatorio di musica San Pietro a Majella, Archivio didattico, Registri annuali, c.p. reg. 2.
[7]Felice Lebano (1857-1919), Memorie sui viaggi artistici dell’arpista Felice Lebano per la sua famiglia. Relazioni giornalistiche,[Milano, Nizza],s.n.t., [1879, 1883, 1904].
[8] Federico Tartarone, Felice Lebanoin «L’Arte Pianistica nella vita e nella coltura musicale», a.VII n.10 (31 ottobre 1920) p.1-2 [vedi foto].
[9] Giovanni Caramiello, Scelta di pezzi Classici / pel complemento dello / Studio dell’Arpa / fatta / da Giovanni Caramiello, manoscritto autografo, fine XIX sec., c.2 (collezione privata Francesco Caramiello).
[10]Registro annuale del Regio Conservatorio di Musica di Napoli Anno scolastico 1912-13, CM NAas, Conservatorio di musica San Pietro a Majella, Archivio didattico, Registri annuali, c.p. 24.
[11]Alberto Salvi (1893-1983), Trascendental Performances, CD, EganRecords, s.d.
ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA Musica+ n.45 luglio 2016