L’arpa la si può accordare, il mondo no.
(Proverbio africano)
Accostarsi allo studio delle arpe africane è tremendamente affascinante, per quanto non si possa evitare di provare un certo timore reverenziale al pensiero che questi strumenti hanno alle spalle oltre cinquemila anni di storia: sembra infatti oramai assodato (lo dimostrano i ritrovamenti archeologici), che le popolazioni dell’Africa sub–sahariana abbiano mutuato le loro arpe dall’antica civiltà egizia, in un periodo che coincide più o meno con la fine del Regno Nuovo (1991–1784 a. C.).
La più antica testimonianza dell’uso dell’arpa in queste regioni risale al I millennio a. C. ed è ravvisabile in una serie di graffiti rupestri rinvenuti sul massiccio dell’Ennedi, nella regione nord–orientale del deserto del Ciad. Ma la regione che in seguito ha visto la maggior diffusione dell’arpa coincide con una fascia trasversale di territorio che va dal Lago Vittoria fino alla costa atlantica e dal Ciad meridionale fino alla Repubblica del Congo.
Le arpe africane dal punto di vista strutturale appartengono tutte alla grande famiglia delle arpe arcuate e si dividono in due principali tipologie: kùndì e ngòmbi. L’arpa di tipo kùndì ha la classica forma arcuata, per cui pare non esservi soluzione di continuità fra manico e cassa; la cassa di risonanza è generalmente rotondeggiante (può essere più o meno allungata) e in genere questo tipo di arpa è munito di cinque corde. L’arpa di tipo ngòmbi ha invece una linea spezzata, poiché il manico è innestato sulla parte terminale della cassa che talvolta viene completata da una figurina scolpita; la cassa di risonanza ha generalmente una forma squadrata più o meno allungata e con gli spigoli più o meno arrotondati. Questo tipo di arpa in genere monta un numero di corde che va da otto a dieci.
Esiste però un altro tipo di arpa africana: si tratta di una via di mezzo tra una scultura e uno strumento, anche se non ha nessuna funzione musicale. In pratica si tratta di oggetti d’arte, solitamente molto decorati e scolpiti, creati appositamente per il mercato esterno. Pare che queste “arpe fasulle” siano state inventate dai Mangbetu, una popolazione congolese che ebbe il suo maggior splendore artistico e culturale tra il 1815 e il 1873. Successivamente iniziò per loro un lento declino, dovuto a diverse concause, come le guerre con le popolazioni vicine, le scorribande dei trafficanti di avorio sudanesi e le incursioni drammatiche dei mercanti di schiavi. Questa piaga terminò con la sottomissione dei Mangbetu all’amministrazione del Congo Belga (il Congo divenne una repubblica indipendente nel 1960).
All’inizio del Novecento due avvenimenti concomitanti contribuirono a riportare in auge l’arte e la cultura Mangbetu: l’ascesa al trono del re Okondo e l’arrivo della spedizione dei ricercatori americani Lang e Chapin. Il re Okondo, intenzionato a ricostituire l’antica corte e a dare nuovo impulso alla produzione artistica, fu molto lieto della visita dei due studiosi e mise a loro disposizione i migliori artigiani del regno. La frenetica attività degli scultori Mangbetu fu rivolta anche verso le arpe, che furono trasformate in veri e propri oggetti d’arte, senza più nessuna funzione musicale: corde troppo ravvicinate, casse appiattite, manici con sculture complesse e sovrapposte, caviglie inservibili, resero questi strumenti assolutamente insuonabili. Questo tipo di produzione artistica ebbe però un enorme successo in Occidente, oscurando quella delle popolazioni vicine.
Un’altra popolazione della Repubblica del Congo che ha avuto un ruolo importante nella storia delle arpe africane è quella degli Ngbaka, stanziati sulla riva sinistra del fiume Oubangui. Come i Mangbetu, anche gli Ngbaka usano arpe della tipologia kùndì, in due varianti:quella più piccola ha il manico che termina con una testa scolpita e al di sotto della cassa compare una scultura a forma di gambe, in modo che l’intero strumento assuma una forma antropomorfa. Quella più grande ha un’ampia cassa di risonanza a sezione quadrangolare, con uno o due piedestalli (non scolpiti); alla sommità c’è la scultura di una testa, sulla quale si innesta il manico.
Gli Ngbaka–Ma’bo, stanziati sulla riva opposta del fiume Oubangui, invece, usano una grande arpa della tipologia ngòmbi munita di dieci corde, che si poggia su un piede; la cassa termina anche in questo caso con la scultura di una testa, ma il manico si innesta appena al di sotto, sul collo della figura. Queste arpe somigliano molto a quelle usate dalle popolazioni del Gabon, come i Fang.
Le arpe dei Fang derivano probabilmente da quelle dei Kele (di tipo ngòmbi), note in Occidente fin dal XVII sec.; Michael Praetorius, infatti, inserì un’illustrazione di un’arpa Kele nel suo Theatrum Instrumentorum (Wolfenbüttel, 1619): questo dimostra quanto siano storicamente profonde le radici dell’arpa nel Gabon. Sappiamo che nel 1858 l’esploratore Paul Beloni du Chaillu, avventuratosi in terre sconosciute, si imbatté in un gruppo di Kele e vide arpe molto simili a quella descritta da Praetorius. Nel 1966 l’etnomusicologo Pierre Sallée incontrò i pochi superstiti dei Kele, che un tempo erano stati feroci guerrieri e commercianti di schiavi; a loro attribuì “una funzione catalitica nell’edificazione della cultura musicale del Gabon occidentale”. Secondo Sallée l’arpa Kele sarebbe dunque passata successivamente agli Tsogo, ai Myene e ai Fang all’inizio del Novecento.
Nella società Tsogo l’arpa aveva un ruolo importante nel rito di iniziazione maschile, fortemente esoterico; lo stesso rituale (detto bwiti) fu adottato dai Fang che, in seguito alla loro evangelizzazione, lo inserirono poi in un contesto liturgico cristiano. Presso queste popolazioni l’arpa aveva però anche un ruolo importante all’interno di alcuni rituali prettamente femminili, come l’elombo dei Myene o l’ombwiri dei Fang.
Nel Camerun settentrionale, dalla pianura dell’Adamaoua fino al Lago Ciad, sono stanziati i Mafa, una popolazione animista che usa strumenti musicali aerofoni, idiofoni e membranofoni di vario tipo, ma un solo cordofono: l’arpa di tipo kùndì. In tutta la regione si possono poi distinguere tre varianti dello strumento: nella zona delle montagne le arpe sono di piccole dimensioni, sono munite di cinque corde e si suonano tenendole appoggiate sulla coscia, col manico in avanti; nelle pianure del nord le arpe sono munite di sei corde, hanno cassa e manico di dimensioni maggiori e si suonano tenendole verticalmente fra le gambe; più a sud, invece, le arpe sono decisamente di grandi dimensioni, hanno otto corde e si suonano tenendole appoggiate trasversalmente sulle gambe. Dato che presso queste popolazioni non esiste la figura del musicista professionista e dato che ognuno si costruisce da solo la sua arpa, nei vari esemplari provenienti dal Camerun settentrionale si possono riscontrare parecchie differenze nel numero dei fori di risonanza, nelle caratteristiche costruttive e nei materiali.
Vorrei concludere questa breve panoramica sottolineando come spesso in Occidente si identifichi l’arpa africana con la kora, strumento che invece appartiene alla famiglia delle lire.