Liuteria / Storia dell'arpa

Martin-Pierre Dalvimare: l’arpista che sfuggì alla ghigliottina

Martin-Pierre Dalvimare: l’arpista che sfuggì alla ghigliottina

 

ritratto di Martin-Pierre Dalvimare

Discendente della nobile famiglia dei d’Alvimare de Feuquières Martin-Pierre nacque a Dreux nel nord della Francia il 18 settembre 1772. Suo padre ricopriva allora l’incarico di avvocato del parlamento ed esattore delle imposte del distretto di Dreux. Martin-Pierre iniziò giovanissimo lo studio della musica intraprendendo a tre anni e mezzo la pratica del clavicembalo; tre anni più tardi si accostò all’arpa sulla quale fece progressi a dir poco prodigiosi, tanto che nel 1780, a soli sette anni e mezzo, si esibì a Versailles suonando per la regina Maria Antonietta, che molto lo applaudì. Virtuoso d’arpa e di clavicembalo si dedicò dunque assai presto alla composizione, come pure alla pittura, testimoniando un poliedrico talento artistico. A quindici anni tuttavia pare aver già abbandonato le esibizioni pubbliche. Lo troviamo infatti impegnato a collaborare con il padre al tavolo di gabelliere. È molto probabile che a segnare questo ripiegamento verso una vita più ordinaria siano state le convenzioni sociali dell’epoca che consideravano disdicevole per un rampollo di nobile famiglia dedicarsi alla vita d’artista, ma non mi sentirei di escludere il ruolo giocato dall’indole schiva e riservata di Martin-Pierre, carattere che riemergerà nei suoi ultimi anni di vita.

Comunque sia l’occupazione nell’amministrazione patrimoniale, pur garantendogli una vita serena e ritirata pare male accordarsi con la vena creativa e la predisposizione artistica del giovane che si risolse ad entrare nella guardia reale, a Parigi, dove stringerà amicizia con il poeta La Cahabaussière e con il musicista Dalayrac. Continuerà a prestare servizio nella guardia del corpo di Luigi XVI fino all’arresto del re. In quel fatidico 10 agosto del 1792 egli si trovava in servizio presso la reggia delle Tuileries presa d’assalto dai rivoltosi. Miracolosamente sfuggito al massacro della guardia reale si rifugiò presso un conoscente che lo nascose per alcuni giorni. Per sfuggire all’attenzione del tribunale rivoluzionario mutò il proprio nome dal nobiliare d’Alvimare nel meno vistoso Dalvimare e, non potendo far ritorno alla dimora di famiglia, confiscata insieme al suo patrimonio, si guadagnerà da vivere dipingendo ritratti in miniatura. Sfuggì così, quasi per capriccio della sorte, all’implacabile ritmo della ghigliottina.

Passati i giorni del terrore trovò impiego come disegnatore in un cotonificio sorto presso la sua città natale fino a che l’avvicendamento del regime consolare a quello direttoriale gli renderà la cittadinanza legale.

Ma ormai le congiunture storiche gli aprivano la strada per trasformare la giovanile passione per la musica in un lavoro meglio retribuito e certo più appagante. Le numerose conoscenze con artisti e letterati strette prima della rivoluzione e, soprattutto, la vasta cultura e lo spirito naturalmente elegante di Dalvimare -doti allora poco comuni nei musicisti di professione- gli garantirono un rapido inserimento nelle alte sfere del mondo artistico dell’età napoleonica.

Al 1897 risale la sua prima opera di una certa importanza (ma un precedente è la perduta operina Eglé composta intorno ai sedici anni): la Symponie concertante per arpa e corno, composta a quattro mani con il celebre cornista Frédéric Duvernoy, cui fece seguito una raccolta di romanze con accompagnamento d’arpa alla quale affidò un ruolo concertante che pare precorrere l’epoca della romanza strumentale. Proprio le sue romanze lo resero famoso al punto da meritargli un posto d’onore nella storia del genere oltre che una citazione letteraria nel romanzo La famille du Voleur di E.L. Lamothe-Langon dove la giovane Julie è ritratta intenta a cantare La feuille de Rose del célèbre Pierre d’Alvimare.

Il nuovo secolo segna una svolta decisiva nell’esistenza di Martin-Pierre: precisamente l’anno 1800 ottiene l’incarico di arpista al teatro dell’Opéra di Parigi, incarico che ricoprirà fino al 12 marzo 1812 unitamente a quello di arpista della Musique de la chambre du premier Consul e, successivamente, di arpista di corte (de la musique particulière de l’empereur). In quegli stessi anni si diffonde a Parigi la sua fama di validissimo didatta dello strumento. Tra gli altri allievi degna di menzione è Marie-Nicole Simonin, nuora di Benoit Pollet, arpista allora assai in voga e a sua volta maestro d’arpa dell’imperatrice Giuseppina, incarico nel quale Dalvimare lo sostituì nel 1807. Alla famiglia Beauharnais Dalvimare stesso era d’altronde legato sin da prima della rivoluzione e non è da escludere che Giuseppina, risposatasi con Napoleone Bonaparte e divenuta imperatrice abbia imposto la figura dell’arpista all’attenzione della corte.

Il momento era certo propizio per Dalvimare che nel 1809 compose per il Théatre Feydeau l’opera comica in un atto Le mariage par imprudence. Fu un fiasco colossale, tanto che la critica ironizzò sulla vicenda dicendo che l’unica vera imprudenza era stata quella di voler far rappresentare l’opera. Amareggiato per questo insuccesso continuò ancora per alcuni anni ad esibirsi, finché nel 1812 rientrò in possesso di parte dei beni confiscatigli dalla rivoluzione. Decise così di lasciare tanto il lavoro all’Opera quanto gli incarichi di corte -dove sarà sostituito dall’astro nascente di Bochsa- per ritirarsi a vita più tranquilla nel suo paese natale. Qui continuerà a dedicarsi alla composizione e alla pittura, insignito dalla restaurazione del titolo di colonnello della guardia nazionale in riconoscimento del suo impegno in difesa di Luigi XVI. Tornerà a Parigi nel 1838 con la speranza di trovare una cura per il male che l’affliggeva sin dall’anno precedente; qui chiuderà gli occhi a questo mondo il 13 giugno 1839.

Scorrere anche solo rapidamente la musica per arpa di Dalvimare desta un’innegabile curiosità: la forma compositiva è assolutamente matura tanto sul piano armonico che su quello strettamente formale dimostrando una piena padronanza delle tecniche compositive in voga sotto l’ancienne regime senza escludere alcune innovative ricercatezze che il vivace mondo austriaco aveva esportato in Francia insieme alla sventurata regina Maria Antonietta. Al tempo stesso la scrittura è melodicamente fantasiosa, proporzionata e aggraziata, non di rado ispirata direttamente allo stile di Haydn, tanto da far balzare all’occhio alcune note peculiari, tra cui vorrei sottolineare l’ampio sviluppo della tecnica della sinistra, la valorizzazione dell’intera estensione dello strumento e l’uso particolarmente ardito dei pedali.

Personalmente sono del parere che la pratica acquisita all’Opera abbia influenzato in modo sensibile il gusto compositivo di Dalvimare. In una lettera autografa conservata preso la Biblioteca Nazionale di Francia è egli stesso a informarci sugli impegni del suo lavoro di arpista che, leggiamo, non comportava la semplice esecuzione delle parti d’orchestra, ma un compito assai simile a quello oggi affidato al maestro sostituto: “[…] Étant obligé de composer ou d’arranger tous les morceaux que j’exécute à l’opéra.“ Questo particolare ci aiuta a far luce sulla scrittura di certi passi dell’opera arpistica di Dalvimare in cui alla mano sinistra è richiesta una agilità ed una sonorità allora poco usuali. Esemplificativa in merito mi pare la V variazione – un’insolita Marche funebre– del Fandango du Ballet des Noces de Gamache tratto dal balletto di L. Milon su musiche di F. C. Lefebvre (senza alcun legame con l’omonima opera buffa Les noces de Gamache composta nel 1815 da R. N. C. Bochsa su libretto di M. Planar) risalente agli anni 1801-1804, data di copia del più antico manoscritto esistente dell’opera.

Le sonate per arpa, raccolte a gruppi di tre dall’Op.10 all’ Op. 18 costituiscono un interessante sguardo sulla tecnica arpistica dell’epoca e testimoniano un avanzato livello di evoluzione formale. Quasi tutte presentano un primo movimento bitematico con ponte modulante tra il primo e il secondo tema. Rare sono le sonate in quattro tempi in cui prevalgono scelte più libere come l’introduzione di un tema con variazioni. Più spesso contenute nella tradizionale struttura tripartita presentano al secondo movimento una delle romanze che hanno reso celebre il loro autore, con un canto a note lunghe e un accompagnamento ridotto all’essenziale in un’estensione sorprendentemente limitata se si pensa che in altri passi lo stesso compositore spinge la sinistra sino al fa di VI ottava. L’impressione generale che si ricava da queste sonate è la predilezione per frasi lunghe, spesso spezzate da cadenze di passaggio con uno sguardo molto attento alla potenzialità concertante dell’area medio-grave dello strumento, posta in risalto da una mano sinistra a cui sono affidate scale di ottave spezzate o frammenti tematici a note lunghe.

Eppure, anche laddove la scrittura sembra appesantita da un linguaggio convenzionale Dalvimare riesce a fare emergere la grazia propria dello strumento, interrompendo il moto di crome e semicrome con arpeggi non accompagnati, costruiti su un solo accordo con cui pare sospendere per un istante l’armonia. Il gusto per la modulazione così come l’impiego di tremoli e bisbigliati ( come nella VI variazione e nell’Allegro della coda del già citato Fandango o nella II variazione della sonata Op. 14 n.3) portano ad ipotizzare una conoscenza della produzione del Krumpholtz più maturo.

Nella sperimentazione delle potenzialità tecniche dell’arpa si spinge invece assai oltre rispetto al compositore boemo, soprattutto per quanto riguarda l’uso della pedaliera, così all’avanguardia da dover attendere la teorizzazione di Carlos Salzedo per essere codificato. Nella già menzionata Marche funebre del Fandango la sinistra presenta in modo ricorrente un dob che diventa un sib il cui suono è prodotto avec la Pédale sans retoucher la Corde. Quello che oggi chiamiamo un pedal slide. Nella sonata n. 3 dell’Op 18 troviamo invece, a battuta 90 del I movimento, la brillante idea di modulare improvvisamente da Lab a Mi inserendo rapidamente il mi beq.e subito dopo abbassare contemporaneamente con i rispettivi piedi i restanti sei pedali. Questo tipo di procedimento è evidentemente attuabile solo su di un’arpa a movimento semplice accordata, come l’autore si premura di avvisare all’inizio del brano, in Lab.

Un’altra curiosità compositiva si riscontra nel Duo à quatre mains pour la harpe Op 31 scritto per essere eseguito da due esecutori su di una sola arpa. La calcografia del frontespizio mostra una esecutrice seduta al modo usuale mentre la seconda si trova in piedi alle sue spalle con la sinistra posata sulle corde gravi e la destra sulle più acute. La tessitura delle due parti rispecchia questa postura con la prima parte che limitata al registro centrale dello strumento e la seconda un’inusuale separazione delle due mani.

Martin-Pierre Dalvimare, incluso da H. J. Zingel tra gli arpisti del XVIII secolo che il repertorio moderno ha presto dimenticato, fu in definitiva un compositore assai prolifico con all’attivo una produzione arpistica vasta ed originale ed un numero sterminato di romanze molte delle quali non ancora riportate alla luce. La sua vicenda umana ci mostra un uomo schivo, pronto a rinunciare alla musica in nome delle convenzioni sociali. La storia, con i suoi stravolgimenti, sembra invece avergli imposto di mettere a frutto il suo talento, facendolo inaspettatamente sfuggire alla voracità della ghigliottina e privandolo di ogni bene eccettuato il suo talento per l’arpa. Lo scorrere degli anni ha però condannato all’oblio la stragrande maggioranza delle sue composizioni per arpa (un cui catalogo sistematico con tanto di numero d’opera è contenuto nella Biographie di Fètis) che attende ancora d’essere riscoperta, studiata e proposta al pubblico.

Riferimenti bibliografici

 

M. P. Dalvimare : Lettres autographe de la BnF département de la musique.

F.-J. Fétis: Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique, Paris, 1834-1835.

Galerie des musiciens célèbres, compositeurs, chanteurs et instrumentistes, Paris, s.d.

A. Glattauer : Dictionnaire du répertoire de la harpe, Paris, 2003.

H. Gougelot : La Romance française sous la Révolution et l’Empire : choix de textes musicaux, Melun, 1937.

A. Jal : Dictionnaire critique de biographie et d’histoire, Paris, 1872.

G.-A. de Reiset : Lettres inédites de Marie Antoinette et de Marie Clotilde de France, Paris, 1876.

H. J. Zingel :Lexikon der Harfe: ein biographisches, bibliographisches, geographisches und historisches Nachschlagewerk von A-Z, Laaber, 1977.

Harp music in the nineteenth century, Indiana University Press, 1992.

Lorenzo Montenz osb

 


Questo articolo é stato pubblicato da
Redazione Redazione di IN CHORDIS, la rivista online dell'Associazione Italiana dell'Arpa.