Didattica / Storia dell'arpa

Riflessioni su un capolavoro della letteratura arpistica: la Sonata di Paul Hindemith

di Gabriella Dall’Olio

Innanzitutto vorrei precisare che lo scopo di questo articolo non è quello di far luce su nuovo materiale o nuove scoperte, ma piuttosto condividere riflessioni e prospettive personali su un’opera centrale della letteratura arpistica, così importante per noi quali interpreti e sostenitori della musica che creiamo. La musica diventa viva quando interpretiamo un’opera da cui siamo spesso lontani temporalmente, culturalmente e geograficamente. L’indagine storica può aiutare a collocare l’autore e la sua opera nel contesto, ma il modo in cui leggiamo le informazioni può variare ed è fondamentalmente personale: diamo la nostra voce ai compositori che eseguiamo, e la nostra prospettiva, come insegnanti e interpreti, può influenzare gli altri, ma vorrei dimostrare che questo è raramente un processo obiettivo. I fatti possono essere letti in modi diversi e portare a risultati differenti: come avviene nella Scienza, così è nella Musica.

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                                                                                        Gabriella Dall’Olio

Background

Paul Hindemith compose una sonata per quasi ogni strumento e, in alcuni casi, più di una (ne compose 8 per viola!). La bella e indimenticabile Sonata per arpa, composta nel 1939, è dedicata a Clelia Gatti Aldrovandi (1901-1989), arpista e moglie del critico e musicologo Guido Gatti. La Sonata è in tre movimenti e segue uno schema insolito: Moderato-Vivo- Lento. Purtroppo si sa relativamente poco della collaborazione fra il compositore e l’arpista. Nella corrispondenza ancora esistente di Hindemith, il riferimento fondamentale alla composizione della Sonata si trova quando egli descrive il suo appuntamento programmato con un’arpista italiana, alla quale lui sperava di sottoporre a verifica il manoscritto finito. Anche se l’arpista non è nominata nella lettera, si è supposto che fosse Clelia Gatti Aldrovandi, cui l’opera è dedicata. La posizione di questa Sonata è un tributo al compositore, che non aveva ancora prodotto un’opera per sola arpa. È anche da notare che non era facile soddisfare Aldrovandi, famosa per essere “disciplinata, organizzata, […] esigente e autoritaria [richiedendo] totale acquiescenza ai suoi dettami”.

Hindemith

Paul Hindemith

Il mio viaggio con la Sonata

Molte cose sono state dette su questa celebre Sonata, alcune basate sui fatti, altre sulla tradizione orale e su informazioni passate di voce in voce, alcune delle quali venivano ogni volta parzialmente modificate. Così come avviene con molte opere del repertorio di qualsiasi altro strumento, certe tradizioni hanno diffuso il modo in cui essa dovesse essere eseguita, ma qualcosa è sempre stato davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie e mi domando quanti di noi l’abbiano davvero notato. E così giungo alla mia prima osservazione.

Ho imparato la Sonata per la prima volta nel 1986, durante i miei studi in Italia. Allora la mia insegnante insisteva affinché io tenessi nel primo movimento il ritmo di 3/4, che, devo dire, non risultava affatto naturale, e ricordo la necessità di dover studiare molto più dell’ordinario per riuscire a mantenere il fraseggio secondo l’indicazione del tempo. In seguito, nel 2000, quando ho registrato il brano in un CD di Recital solista per la casa discografica Claves (che si è successivamente aggiudicato l’ambito premio 5* Diapason), sono arrivata alla supposizione che ciò che suonavo fosse corretto.

La questione del Tempo: il Primo Movimento

Questo “status quo” finì quando iniziai ad insegnare la Sonata. Approcciandosi al primo movimento, ogni mio allievo si trovava a scontrarsi con il mio stesso problema, vale a dire mantenere il ritmo in tre. Mi venne da pensare: e se il primo movimento non fosse in 3/4, come suggerisce l’indicazione del tempo, ma seguisse invece un ritmo molto più libero, principalmente in 3, ma non sempre?

Il movimento è chiaramente segnato in 3/4. Vale la pena comunque notare che, mentre non ci sono alterazioni in chiave, esso inizia e finisce con un accordo di Sol bemolle maggiore. Eppure non si può veramente affermare che il movimento sia in Sol bemolle maggiore, e la mancanza di chiare relazioni tra la tonica e la dominante ha come risultato un’ambiguità tonale. Ne consegue perciò, secondo il mio parere, che laddove il brano presenti delle ambiguità tonali, si possa supporre che implichi anche delle ambiguità temporali. Il primo movimento non è del tutto in Sol bemolle maggiore e forse non è nemmeno del tutto in 3/4.

Sono convinta che la melodia di apertura (in cui vengono presentati i principali motivi armonici e melodici del movimento) segua un ritmo flessibile, senza alcun riferimento alla stanghetta della battuta. Le melodie successive a volte si dilatano in linee più lunghe ed hanno bisogno di più tempo per terminare. L’impulso creativo è stato organizzato in modo che non abbia bisogno di adattarsi o di seguire uno schema preciso. Questa prospettiva giustifica anche il fatto che il secondo frammento tematico inizi nel secondo movimento della quarta battuta, e così il terzo movimento della battuta 7, e poi il primo movimento nella prima battuta di pagina 6.

Il ritmo del secondo tema nella battuta è di nuovo 3/4* 4/4* 3/4 (vedi Appendice 1, esempio 1). E il resto continua in questo modo, con un ritmo generale in tre che si estende in quattro quando occorre:

Battuta 4: con il ritmo principale che inizia sul secondo: 3/4*3/4*4/4*3/4*3/4*3/4*3/4*4/4*4/4*1 (fine dell’esposizione, secondo movimento dell’ultima battuta)

La quarta pagina, segnata come pagina 6, è particolarmente interessante laddove la frase segue schemi ritmici parzialmente indipendenti nelle due mani e si esprime in: (Vedi Appendice 1, esempi 2 e 3) mano destra: 3/4*+3/4*; 3/4* +3/4*; 3/4*4/4* 4/4*3/4*3/4*2/4* 2/4* 2/4 e un respiro (segnato come pausa); mano sinistra: 3/4*3/4; 3/4*3/4; 4/4*4/4; 3/4*3/4*3/4; 2/4*2/4*2/4 e un respiro (segnato come pausa). È da notare che il ritmo inizia allo stesso modo in entrambe le voci prima di dividersi e diventare poi indipendente, per riunirsi alla fine del terzo sistema.

La questione del Tempo: il Primo Movimento

Ci sono soltanto due battute in 2/4 in questo movimento: la prima è in realtà in 3/4, poiché in pratica abbiamo bisogno di un’ulteriore semiminima per preparare l’ampio accordo in Sol bemolle maggiore, e il 2/4 è un espediente retorico utilizzato per non ritardare il flusso naturale della frase in 3/4 (quasi ironicamente, una delle uniche battute in 2/4 e in realtà in 3/4). La seconda è nell’ultima pagina del primo movimento, in cui incalza gli accordi in Sol bemolle nei secondi movimenti delle ultime battute e conferisce l’effetto di sospenderli quasi a mezz’aria, nella risonanza del “forte” appena precedente.

La questione del Tempo: il Secondo Movimento

Nel secondo movimento i glissandi non hanno stanghette di battuta indicate, poiché sono considerati come una lunga battuta in levare che introduce la parte successiva, eppure la pulsazione del basso è chiaramente la stessa e dovrebbe essere mantenuta in 3/4, ne risulterà efficace l’esecuzione del glissando piuttosto lenta all’inizio, con un crescendo e un accelerando verso la fine, per creare una progressione gravitazionale culminante nel Sol bemolle in alto (il ritmo rimane lo stesso e la velocità oscilla soltanto nel glissando, non nelle ottave del basso). In termini di fraseologia, il secondo movimento sembra rimanere fermamente all’interno di una struttura in 3/4. Comunque, un’accurata analisi della pagina finale del movimento rivela che qui il senso di agitazione frenetica viene creato dalla reiterazione di quella che è effettivamente una frase in 5/4, ripetute tre volte su cinque battute – lo stesso principio dell’ emiola, ma dilatato. Un ricordo appropriato di campane di una chiesa che suonano, in linea con l’aneddoto sulla Sonata concepita intorno alla magnifica architettura della Cattedrale di Colonia ** , forma un ponte teso e frenetico che insiste sui 5/4 in opposizione all’indicazione di tempo ternario in armatura di chiave, in quello che è, secondo me, l’unico movimento di questa sonata con un ritmo costante.

** (Ho sentito raccontare questa storia per la prima volta dalla mia insegnante Anna Loro, la quale a sua volta l’aveva appresa da Pierre Jamet; altri citano come fonte Marcel Grandjany. È un riferimento reale oppure creato da un processo di pensiero logico che trae origine dalla bella poesia del terzo movimento? Hindemith non accenna mai a questa storia nei suoi scritti, ma potrebbe averne parlato con qualcuno ed essa è giunta fino a Jamet e Grandjany?

Il primo movimento a me fa pensare a soldati in marcia, con la melodia del basso elaborata e in qualche modo raddoppiata dalle semicrome insistenti della mano destra. Ricordiamo che la Sonata è stata composta nel 1939 e Hindemith aveva dovuto lasciare in fretta la Germania insieme alla moglie ebrea per allontanarsi dal pericolo di Hitler, e rifugiarsi in Svizzera).

La questione del Tempo: il Terzo Movimento

Il terzo movimento è una melodia scorrevole che pulsa del proprio ritmo e si apre in un contrappunto di due e poi tre parti. Mentre il contrappunto crea le armonie nella loro maniera tradizionale, il ritmo e la fraseologia delle voci sono spesso indipendenti l’uno dall’altra. Questo movimento si sviluppa verso una conclusione di magnifica espressività ed intensità, prima che la semplicità del tema iniziale ritorni (la semplice e logica forma ternaria conferisce un’atmosfera più leggera), riflettendo il tema poetico delle api ronzanti.

Il movimento si apre con le voci all’unisono, che si dividono immediatamente in moto contrario, seguite da un’imitazione giocosa in due voci, che si estende da 2/4*2/4 in 3/4*2/4, con alcune battute in 5/4 per permettere frasi più lunghe, ed ogni mano segue il suo fraseggio naturale. La melodia è in correlazione esatta con le parole della poesia, sillaba per sillaba, (vedi Appendice 2) ed ha un carattere conpulsazione fluida dettata dal metrica del testo finoalla ripresa ed al pedale di Re bemolle (ora in alto anziché al basso, naturale prima e dopo armonico) nella mano destra si trasforma nuovamente in melodia e il brano termina in Mi bemolle. Se questa sia una tonalità maggiore o minore è piuttosto ambiguo: nella sua imponente opera di filosofia della composizione “The Craft of Musical Composition”, Hindemith mette spesso in discussione l’importanza della terza nella musica occidentale, preferendo il potere più essenziale delle quarte e delle quinte. Comunque, laddove manca la terza, siamo privati dei nostri principali mezzi per identificare una tonalità maggiore o minore.

Conclusioni

Hindemith era un uomo pratico e componeva anche per dilettanti: le sue opere erano molto chiare per chiunque. Nella Sonata per arpa ha utilizzato una scrittura semplice e comprensibile per dar vita a un’opera d’arte molto poetica, intellettuale ed articolata, dove la struttura ha la complessità architettonica di una cattedrale, pur rimanendo libera e fluida. Io credo che sia un capolavoro straordinario ed estremamente moderno, nell’ umile “veste” della scrittura tradizionale dell’epoca.

Ho controllato spartiti di sonate per vari strumenti ed ho condiviso queste riflessioni allo stesso modo con direttori, compositori e musicisti, che le hanno confermate (in particolare violisti e appassionati di Hindemith, ma anche compositori reputati, che si trovano sempre a dovere tradurre il loro pensiero sonoro per traduttori/interpreti che li rappresenti e faccia vivere le loro opere): Hindemith utilizza l’indicazione di tempo solo come riferimento, ma aggiunge e sottrae movimenti di battuta ogniqualvolta il flusso melodico/armonico lo richieda e talvolta dimentica o non si preoccupa di aggiungere stanghette di battuta o di segnare i cambiamenti di tempo.

Note per l’esecuzione

Vorrei ora riflettere su una serie di questioni che, fino al giorno d’oggi, rimangono controverse dal punto di vista dell’esecuzione della Sonata ed aggiungere la mia opinione alle molte altre:

  1. La fine del secondo movimento va suonata piano o forte?

  2. Tutti gli accordi della Sonata sono “Plaqué”?

  3. Gli armonici si eseguono alla nota reale o suonano dove sono scritti e quindi vanno suonati un’ottava sotto?

1.Ci sono vari modi di interpretare il finale del secondo movimento: alcuni lo suonano forte e danno come motivazione lettere dell’autore e contraddizioni editoriali (alcune edizioni indicano il finale forte, altre pp). Altri seguono delle edizioni in cui l’ultimo segno di dinamica è incerto, ma dove il pp precedente, indicato all’inizio dell’ultimo sistema è considerato ancora attivo.

Sono convinta che la frase sia esattamente la stessa di prima in termini di energia, direzione e costruzione, e pertanto è intesa forte. Eppure … è l’ultima volta che compare e questa volta ci spinge subito verso un finale improvviso: perciò immagino che lo stesso episodio si ripresenti sì ‘forte’, ma stavolta allontanandosi dall’ascoltatore, lontano. La conclusione della scena avviene fuori dalla vista dello spettatore/ascoltatore, verso le quinte di un teatro/film/palcoscenico/piazza di una cattedrale, come se l’attore scomparisse, dopo un ultimo cenno giocoso rivolto al pubblico. Il forte è ancora forte, ma così lontano da noi che riusciamo a malapena a sentirlo. Il forte è ora nell’articolazione del suono, non nel volume, che è molto più leggero di prima.

Questo finale è anche il miglior contrasto con il terzo movimento, che inizia in mf con solo due note. Un finale chiaramente in forte renderebbe più difficile separare i due movimenti e dare all’ascoltatore l’atmosfera del terzo movimento, che, come detto, inizia in mf.

2. Hindemith non indica mai chiaramente gli accordi arpeggiati. Ciò caratterizza il 1° e il 3° movimento, dove sono scritti due ampi accordi di dodici note (a meno che lui non componesse per un’arpista straordinaria con sei dita in ogni mano!… Ma noi sappiamo bene che Clelia aveva due mani normalissime!) che verranno inevitabilmente arpeggiati. Clelia Gatti-Aldrovandi ha inciso vari LP, che dimostrano una tendenza a suonare la maggioranza degli accordi più o meno arpeggiati. Per esempio, la “Sarabanda e Toccata” di Nino Rota (anch’essa dedicata a lei) inizia con accordi che NON sono segnati arpeggio, ma sono suonati tradizionalmente “brisé” (Giulia Rettore ha scritto una dissertazione su N. Rota, in cui esprime concezioni di questo tipo: Clelia Gatti voleva che tutti gli accordi fossero generalmente “brisé”, secondo le intenzioni di Rota, e che richiamassero l’imponente ripresa composta da accordi molto ampi, che devono essere suonati come “arpeggi”, al riepilogo del tema). È quindi certamente possibile che le idee di Hindemith sugli accordi suonati sull’arpa siano state formulate su questa linea. È sensato arpeggiare leggermente gli accordi sin all’inizio, se non sempre, e se non sempre in entrambe le mani, e preparare la sezione “Breit” (Largo) allargando gradualmente e progressivamente gli accordi immediatamente precedenti, e allo stesso modo nel terzo movimento nell’enunciazione del colossale accordo in mi bemolle.

Mahler, un contemporaneo di Rota e Hindemith, occasionalmente e quando specificatamente vuole un accordo ‘perscussivo’, scrive ungebrochen (non arpeggiato) in alcuni accordi, sottintendendo che tutti gli altri non lo siano e siano invece “brisé”, in linea con la tradizione musicale dell’epoca di Strauss, Ravel, Debussy, Puccini, Respighi e molti altri. H.Renié scrive nel suo metodo che ci sono molti tipi di accordi, ma che i più comuni sono “brisés” e “arpegés”, tralasciando del tutto per il momento quelli uniti. Vale anche la pena aggiungere che Renié scrive nel 1945-6, più di vent’anni dopo che Hindemith ha composto la sua Sonata per arpa.

3. Gli armonici vanno essere eseguiti dove ‘suonano’ o dove sono scritti, in particolare nel terzo movimento? Io personalmente preferisco eseguirli prendendo come nota reale la nota indicata, e quindi pizzicando la corda un’ottava sotto: Hindemith li scrive così nelle sonate per viola e non c’è alcuna ragione per fare diversamente qui. Ha poi più senso mantenere il pedale melodico di Re bemolle, prima della ripresa del tema iniziale, alla stessa altezza di prima e dopo; gli armonici sono molto più pieni, sonori e ricchi in ipertoni, se eseguiti dove suonano e non dove sono scritti, e si accordano bene con le parole della poesia, “le corde risuonano naturalmente, come ronzìo di api’ … e poi sono così BELLI se eseguiti lì! La musica non è solo matematica e ragionamento, ma soprattutto un mezzo possente per trasmettere emozioni, risvegliare la fantasia e immaginazione, e questo movimento è di eterna bellezza, come l’ultimo movimento della Nona Sinfonia di Mahler.

Io immagino che Hindemith avesse questo mondo magnifico di suoni nella sua mente e provasse ad affidare alla carta ciò che sentiva dentro di sé -per raggiungere I suoi contemporanei ed infine noi nel futuro-nel modo più semplice per lui nella sua epoca, ma non abbastanza chiaro per giungere fino a noi assolutamente trasparente, poiché noi siamo lontani nel tempo, nella geografia e nella cultura; e anche perché la maggior parte degli arpisti non sono compositori e non hanno perciò familiarità con i processi di creazione del linguaggio sonoro. Detto questo, se si decide, come faccio io, di eseguire gli armonici dove suonano, pizzicandoli un’ottava sotto, la stessa cosa allora si applica al primo movimento: producono un meraviglioso “colore” scuro, ricco e vellutato, ben in sintonia con il mondo sonoro di Hindemith. In quanto violista(fra i tanti strumenti che suonava), preferiva un registro più basso, e infatti molte delle sue melodie sono nel registro medio o basso, con la mano destra che il più delle volte accompagna con fraseggi e ritmi complessi.

Il manoscritto a disposizione mostra un’ottava acuta di Do #, suggerendo che l’armonico possa anche esistere all’ottava più alta, ma è possibile che questo fosse il miglior suono sul pianoforte, che egli sicuramente utilizzava mentre componeva la Sonata, e che fosse poi cambiato nell’armonico in Re bemolle sull’arpa. Al pianoforte, l’ottava alta aiuta a separare il commento della campanella dal resto del testo, e il suono risulta brillante e percussivo, anche perché in quel registro il pianoforte ha tre corde per tasto; nell’arpa l’armonico un’ottava inferiore suona meglio, poiché più ricco in armonici naturali, e sopratutto la differenza in timbro lo separa dal resto del testo. Poiché ci sono spesso correzioni nelle prime stesure dei manoscritti e considerando che Hindemith era piuttosto meticoloso nelle sue indicazioni e controllava attentamente ogni pubblicazione di Schott, con cui aveva un contratto regolare con stipendio da lungo tempo, possiamo confidare che la sua edizione finale stampata sia il volere definitivo dell’autore, anche se, come possiamo notare, molto rimane ancora nell’ombra.

Conclusioni

Hindemith, nel suo trattato “The craft of musical composition” (1942, ed. Schott), affronta il tema della melodia: “…le melodie dei maestri non sono costruite senza rima o ragione… qualsiasi cosa creata dall’uomo… deve rivelare il suo segreto al più vicino osservatore…La melodia è l’elemento nel quale il carattere personale del compositore si rivela nel modo più chiaro ed evidente possibile.

Tutto è relativamente insignificante se comparato all’abilità (del compositore) di inventare melodie convincenti”. E, in conclusione, ancora una formidabile citazione: “C’è una teoria, derivante dall’ignoranza, che sostiene che il vero artista possa “sbagliare”quanto vuole … Questa teoria presuppone la presenza di uno speciale angelo custode che permette nell’opera artistica quella libertà non garantita in … altri campi”.

Paul Hindemith era una persona straordinaria che esprimeva in suoni la sua anima e le sue forti convinzioni sociali e politiche, e tracciava con i suoi spartiti una mappa in puntini bianchi e neri affinchè noi potessimo riempirla di energia, colori e vita.

Io penso che dobbiamo riprendere in considerazione molto di ciò che abbiamo imparato, con cuore, mente e soprattutto orecchie aperte. Bach è stato riscoperto grazie a poche persone. Harnoncourt è un pioniere con il quale ho avuto il privilegio di lavorare in diverse occasioni e il suo pensiero progressivo e pionieristico è stato così influente che ha aperto porte alla riscoperta della musica in modo nuovo e significativo. Noi ascoltiamo e ci impegniamo nella musica perché è molto bella e piena di livelli di significati intellettuali ed emotivi. Bisogna suonare come si fa con qualsiasi testo: abbiamo bisogno anzitutto di comprendere il testo in tutte le sue sfaccettature e anche l’autore, e solo dopo possiamo provare a comunicare il significato di ciò che abbiamo capito. Non è necessario che le nostre idee e credenze rimangano o siamo le stesse, ma certamente devono convincere. Dobbiamo diventare appassionati ambasciatori e traduttori, attori ed interpreti di questa meravigliosa conversazione di suoni.

musica

Gabriella Dall’Olio, corretto, September 2014 copyright
(traduzione italiana di Silvia Betelli)

Pensiamo di fare cosa gradita ai lettori aggiungendo la traduzione del Lied di Ludwig Christoph Heinrich Hölty (1748–1776) “Ihr Freunde hänget, wann ich gestorben bin”

Ihr Freunde, hänget, wann ich gestorben bin,
die kleine Harfe hinter dem Altar auf, wo an der Wand die Totenkränze
manches verstorbenes Mädchens schimmern.
Der Küster zeigt dann freundlich dem Reisenden
die kleine Harfe, rauscht mit dem roten Band,
daß an der Harfe festgeschlungen,
unter den goldenen Saiten flattert.
“Oft,” sagt er staunend, “tönen im Abendrot
von selbst die Saiten, leise wie Bienenton;
die Kinder, hergelockt vom Kirchhof,
hörten’s und sah’n, wie die Kränze bebten.”

Amici, quando morirò, appendete

la piccola arpa dietro all’altare

dove risplendono le corone di fiori

delle fanciulle morte.

Il sagrestano mostrerà con gentilezza

la piccola arpa al viaggiatore

sospesa a un nastro rosso

che fruscia tra le corde dorate.

Sovente”, dirà stupito, “al tramonto

le corde risuonano da sè, silenziose come ronzio d’api:

i bambini, attratti dal cortile della chiesa,

ascolteranno il suono e vedranno le corone tremare”.

(trad. Davide Ferri)

 


Questo articolo é stato pubblicato da
Redazione Redazione di IN CHORDIS, la rivista online dell'Associazione Italiana dell'Arpa.