Una foresta percorsa dal vento
Alice Giles, Sequenza II e la musica di Luciano Berio
(nella foto: Alice Giles durante l’intervista effettuata da Beatrice Martini prima dell’esecuzione di Sequenza II di Luciano Berio e Variations sur un thème dans le style ancien di Carlos Salzedo in occasione della Master effettuata al Conservatorio A.Boito di Parma)
Musicista di eccezionale talento e docente capace di comunicare vivide immagini musicali, Alice Giles è considerata una delle più importanti arpiste del nostro tempo.
Nata in Australia, a soli 21 anni ha vinto l’International Harp Contest in Israel. Da quel momento, la freschezza nell’approccio musicale e le intense interpretazioni l’hanno portata a suonare nelle più importanti sale da concerto in Europa, Australia, America ed Israele, come solista ed insieme a prestigiose orchestre ed ensemble. Ama presentare nuove composizioni per arpa in prima esecuzione assoluta ed è co-fondatrice e direttrice di Eolus–International Salzedo Society. Docente alla Hochschüle für Musik di Francoforte per otto anni, attualmente insegna all’Australian National University e tiene seminari e masterclass in tutto il mondo. La sua ampia discografia include, tra gli altri, alcuni album di musica per arpa sola con una particolare attenzione alla produzione di Carlos Salzedo, un’incisione di concerti per arpa eseguiti con la Adelaide Symphony Orchestra e registrazioni in ensemble come Duo Corda (con il pianista Arnan Wiesel), con il flautista Geoffrey Collins e con gruppi da camera di primo piano. Ha fatto parte delle giurie del Concorso Nazionale d’Arpa “Victor Salvi” (1995) e dell’International Harp Contest in Israel (1998).
Poche settimane fa, Alice Giles ha trascorso alcuni giorni in Italia per tenere una masterclass al Conservatorio di Musica “Arrigo Boito” di Parma ed un concerto a Palazzo Chigi Saracini a Siena, in occasione del convegno “Luciano Berio. Nuove Prospettive”, organizzato dall’Accademia Musicale Chigiana in collaborazione con l’Università degli Studi di Siena.
Nel corso di un’intervista pubblica avvenuta lo scorso 28 ottobre nella Sala Verdi del Conservatorio di Parma, è stato possibile ascoltare dalla voce dell’arpista il racconto del suo approccio alla musica per arpa di Luciano Berio. Affiancate alle brillanti esecuzioni che ha regalato al pubblico delle due città italiane, le sue parole hanno completato il ritratto complesso ed affascinante del rapporto tra un’eccellente ed acuta interprete e la produzione di un compositore fondamentale per la musica del secolo scorso.
I diversi volti dell’arpa. Riflessioni sulla poetica di Sequenza II.
Tra il 1958 ed il 2002, Luciano Berio ha composto le Sequenze, brani per esecutori solisti, di elevata difficoltà tecnica, oggi tra le più importanti opere del Novecento. Dalle parole del compositore stesso: «Il titolo “Sequenza” […] si riferisce […] al fatto che questi pezzi sono basati principalmente su “sequenze” e sovrapposizioni di caratteri armonici e di tipi di azioni strumentali».1
In relazione alle Sequenze, il compositore sottolinea la necessità, per i grandi solisti contemporanei, di muoversi in una prospettiva storica ampia, volta ad interpretare tanto il passato quanto il presente, utilizzando il proprio strumento come un vero e proprio mezzo di ricerca.
Nel 1963, Luciano Berio ha composto Sequenza II per arpa, dedicata a Francis Pierre.
«Nelle Sequenze ho spesso esplorato alcuni aspetti tecnici specifici dello strumento e ho cercato di commentare il rapporto tra il virtuoso e il proprio strumento [Alcune Sequenze] sembrano sfidare la convenzionale nozione dello strumento (come Sequenza II per arpa)».2
«L’“impressionismo” francese ci ha lasciato di questo strumento [l’arpa] un’immagine un po’ limitata: come se la sua peculiarità fosse quella di lasciarsi suonare solo da ragazze seminude con lunghi capelli biondi e capaci di cavarne solo seducenti glissandi. Ma l’arpa ha anche un altro volto, più duro, più forte e più determinato, un volto che la moderna scuola di Salzedo ha contribuito a precisare. Sequenza II vuole mettere in luce alcuni di questi volti e farli apparire anche simultaneamente: in certi momenti deve suonare come una foresta percorsa dal vento».3
Alice Giles, ritenuta dallo stesso Luciano Berio la principale interprete di Sequenza II , racconta del loro incontro e dello scambio di opinioni e impressioni tra interprete e compositore in relazione al brano.
«Mi trovavo in Israele, e anche Luciano Berio si trovava lì, in veste di direttore d’orchestra. Gli ho suonato Sequenza II: era la prima volta che ascoltava un’arpista che eseguiva il brano a memoria. Questo per lui era molto importante, non tanto per l’utilizzo della memoria di per sé, quanto per la capacità dell’interprete di interiorizzare il brano.
Durante il nostro incontro gli ho chiesto dei suggerimenti sull’interpretazione dell’opera, ma lui si è limitato a dire che l’esecuzione era meravigliosa così com’era. Era semplicemente felice di sentire che la suonavo lasciando la musica libera di parlare e di respirare, con colore. Per lui era determinante sentire che gli interpreti delle diverse Sequenze assimilavano gli aspetti tecnici del brano, per poi lasciarseli alle spalle, permettendo alla musica di suonare come il racconto di una storia.
Berio possedeva i testi di Carlos Salzedo Modern Study of the Harp e Method for the Harp, e aveva collaborato con Francis Pierre per poter vedere e ascoltare dal vivo gli effetti descritti nei due volumi. Penso di essermi avvicinata a Sequenza II con naturalezza perché, avendo studiato con la tecnica Salzedo, conoscevo bene i suoi effetti sonori ed ero stata abituata a suonare con molti colori. Non solo colori applicati agli effetti, ma anche colori relativi ai timbri e alle sonorità.
Luciano Berio era affascinato dall’arpa, e gli studi di Salzedo gli avevano offerto l’occasione per comprendere pienamente le potenzialità di questo strumento.
Ogni volta che eseguo Sequenza II associo alla musica una storia diversa. Non la percepisco come una composizione inquadrata in una struttura statica, al suo interno vedo episodi che si susseguono e si evolvono secondo un procedimento creativo. Ad esempio, mentre suono, immagino una foresta ricca di creazioni della natura, penso alla commedia dell’arte, ad una moltitudine di personaggi diversi, al rapporto tra un elemento maschile ed uno femminile, a dialoghi e contrasti.
Sequenza II contiene un linguaggio. Nel brano ci sono delle frasi che, ascoltate con attenzione, esprimono ogni volta un significato diverso (anche se le note scritte sullo spartito restano, ovviamente, invariate). Per rendere vive queste frasi è necessario ascoltarle, comprendere i loro suggerimenti e seguirli. Applicando questo processo creativo, la composizione cresce, si sviluppa e inizia a vivere dentro di noi».
La forma di Sequenza II è un corpo in movimento, che si articola all’interno di una complessità in costante crescita per densità armonica e risonanza. Partendo da un suono monodico ripetuto, rigoroso e neutro, si costruiscono campi armonici dalle altezze nitidamente percepibili, e si fugge tra dissolvenze e glissandi che, più che evidenziare singole note, danno l’impressione di un carattere sonoro più generale, come una pennellata di acquarello contenente mille variazioni cromatiche dai limiti indefiniti, ed infine si raggiungono i furiosi e intensi blocchi accordali del finale.
Un così ampio numero di tecniche esecutive e sonorità diverse, sovrapposte e accumulate con il procedere della composizione, porta, in parallelo, a modificare ciò che viene recepito dall’ascoltatore, il quale, inizialmente, percepisce elementi chiari e puntuali, e in seguito viene investito da cluster e suoni tanto sorprendenti quanto aggressivi, in uno stato di saturazione armonica.
È nell’esecuzione di Alice Giles che si avverte la potenza travolgente dell’opera, che mette alla prova la tenacia dell’arpista, esponendo la sua forza atletica e mentale al centro dell’azione, in quello che si concretizza come un vero e proprio teatro strumentale.4
Sfregando, pizzicando, percuotendo le corde si producono effetti sonori inconsueti, l’arpa viene sempre più frequentemente utilizzata come uno strumento a percussione, la successione degli eventi è in continuo sviluppo e i diversi elementi presentati si connettono tra loro in un costante gioco di rimandi che sollecita la memoria dell’ascoltatore. Quest’ultimo è invitato a prestare attenzione ad una polifonia che prende forma nel corso dell’opera e che si allontana dalle architetture tradizionali: infatti in questa occasione a “contrappuntarsi” sono i gesti richiesti allo strumento, che si presentano in contesti ogni volta diversi e che si sovrappongono, andando ad incontrarsi in un ideale ensemble vocale.5
Da Texts for Luciano Berio’s Sequenzas del poeta Edoardo Sanguineti, il distico relativo a Sequenza II per arpa:
«ho ascoltato catene di colori, muscolosamente aggressivi:
ho toccato i tuoi ruvidi rumori rigidi:».6
Trasformare, sublimare, distruggere, costruire. Un concerto dedicato alla musica di Luciano Berio.
«Un contributo essenziale della modernità è pur sempre stato quello di saper trasformare, cancellare o moltiplicare le prospettive lineari, le ‘toniche’ che indicano la ‘buona strada’ e di saper costruire qualcosa, sia pur idealmente, con gli avanzi e con le rovine di quello che si è trasformato, sublimato e, anche, distrutto».7
Luciano Berio sceglie di percorrere strade inesplorate, di mettere in discussione ciò che è noto e convenzionale dedicando la massima attenzione alle sue inedite metamorfosi.
A questo aspetto della sua produzione è stato dedicato il concerto tenutosi all’Accademia Musicale Chigiana lo scorso 29 ottobre, in occasione del convegno “Luciano Berio. Nuove Prospettive”.
Nextime Ensemble (Alice Giles arpa, Michele Marasco flauto, Corrado Giuffredi clarinetto, Cristina Zavalloni soprano, Lisa Bartolini percussioni), Danilo Grassi direttore e percussionista, Quartetto Prometeo (Giulio Rovighi violino, Aldo Campagnari violino, Carmelo Giallombardo viola, Francesco Dillon violoncello) e Tempo Reale (Francesco Giomi, Patrizio Barontini), gli artisti chiamati ad interpretare Sequenza II, Sequenza VI, Différences, Les mots sont allés…, Sincronie e Circles.
Aprono la serata Sequenza II per arpa (1963) e Sequenza VI per viola (1967): ai due strumenti, solitamente immaginati come espressione di sonorità morbide, dolci e discrete, viene chiesto di essere carnali, rumorosi, inquieti e aggressivi, in una trasformazione che però interessa unicamente la loro modalità di impiego e non la loro natura, che l’autore vuole preservare intatta e indiscussa.
In Différences per cinque strumenti e registrazione stereofonica (1958- 1959)
il quintetto formato da flauto, clarinetto, arpa, viola e violoncello incontra la propria immagine (cioè la registrazione di suoni prodotti dagli stessi strumenti) impegnata in una continua trasformazione, secondo parametri relativi alla velocità di articolazione, all’intensità, all’estensione. Le due dimensioni (live e pre-registrata) si specchiano l’una nell’altra, lasciando emergere tra loro differenze di timbri e di distanze spazio-temporali sempre nuove,8 stimolando l’ascoltatore a cercare e a riconoscere le sonorità prodotte dalle due distinte sorgenti, con lo scopo, a detta dell’autore, di «cancellare l’opposizione abituale tra suono in diretta e suono registrato».9
Les mots sont allés… per violoncello (1976), commissionato a Luciano Berio da Mstislav Rostropovich e dedicato al direttore d’orchestra Paul Sacher, è stato progettato in forma di variazioni sul tema. Il tema è nelle sei note corrispondenti alle sei lettere che compongono la parola Sacher, ed è variato progressivamente fino a perdere la forma originaria. Il gesto musicale del violoncello diventa idealmente vocale quando l’autore chiede allo strumentista di suonare il cognome del direttore d’orchestra con una sonorità che definisce “Intime, comme en parlant”.10
Sono voci, anzi, voce, anche gli archi coinvolti in Sincronie per quartetto d’archi (1963- 1964). Allontanandosi dall’usuale concezione del quartetto d’archi, visto come ensemble suddiviso gerarchicamente con funzioni strumentali diversificate, l’autore ha deciso di far muovere i quattro musicisti come un unico generatore di timbri omogenei: sono quindi un unico strumento e un’unica voce.
La coreografica disposizione degli strumenti prevista da Circles (1960), brano per voce femminile, arpa e due percussionisti, suscita il vivo interesse del pubblico ancor prima dell’ingresso dei musicisti in sala. L’arpa è posizionata al centro dello spazio scenico, tra due imponenti set di percussioni; in primo piano, in tre diverse postazioni, sono collocate delle piccole percussioni, destinate alla cantante-performer. L’opera consta di cinque parti formanti una struttura circolare simmetrica (A-B-C-B-A) e utilizza tre poesie di e. e. cummings (“stinging gold swarms…”, “riverly is a flower…”, “n(o)w the how dis(appeared cleverly)world”, da Collected Poems) come materiale per una formulazione allo stesso tempo musicale e teatrale.
Le idee alla base dell’opera, nelle parole del suo stesso autore:
«Non era certamente nelle mie intenzioni comporre una serie di pezzi vocali con accompagnamento di arpa e percussioni. Mi interessava invece elaborare circolarmente le tre poesie in un’unica forma ove i diversi livelli di significato, l’azione vocale e l’azione strumentale fossero strettamente condizionati e strutturati anche sul piano concreto delle qualità fonetiche. Gli aspetti teatrali dell’esecuzione sono inerenti alla struttura della composizione stessa che è, innanzi tutto, una struttura di azioni: da ascoltare come teatro e da vedere come musica».11
Assistere all’esecuzione del brano dal vivo è un’esperienza unica e coinvolgente: elementi strumentali e scenico-vocali interagiscono, prolungandosi e amplificandosi gli uni con gli altri. Si distinguono fonemi che suggeriscono ampliamenti strumentali e suoni strumentali che suggeriscono ampliamenti fonematici, come nel caso dell’arpa e delle percussioni che «estendono i comportamenti vocali in una sorta di onomatopea»,12 esprimendo con i propri suoni i fonemi pronunciati dalla cantante, che a sua volta fa suoi i gesti strumentali. I passaggi e le corrispondenze tra parola e suono, consonante e vocale, suono e rumore sono cercati, esplorati, sviluppati. Diversi tipi di percussioni (legni, membrane, metalli), arpa e voce si incrociano, intrecciano, oppongono. In un percorso continuo e circolare, il suono, caratterizzato da forti implicazioni gestuali, va verso il teatro e poi torna alla musica.
«Ci rendiamo conto che i gesti diventano poetica, espressione formativa, solo a condizione di non dare per acquisiti i loro significati e le loro tendenze originarie, di non ridurli a un alfabeto di oggetti completamente fatti, di non impiegarli al posto di…, e di non ignorarne le cristallizzazioni mitologiche ma al contrario di entrare in conflitto con esse».13
1 Luciano Berio, “Le Sequenze ”, in Berio, a cura di Enzo Restagno, Torino, E.D.T., 1995, p. 187.
2 Ibid., p. 188.
3 Luciano Berio, Intervista sulla musica, a cura di Rossana Dalmonte, Roma, Bari, Laterza, 1981, p. 109.
4 Lorenzo Arruga, “Per ascoltare Berio”, in Berio, a cura di Enzo Restagno, Torino, E.D.T., 1995, pp. 40-41.
5 Angela Carone, “Notare le metamorfosi”, in Nota illustrativa, programma di sala a cura di Angela Carone, Siena, Accademia Musicale Chigiana, 29 Ottobre 2008, p. 2.
6 Lorenzo Arruga, “Per ascoltare Berio”, in Berio, a cura di Enzo Restagno, Torino, E.D.T., 1995,, p. 49.
7 Luciano Berio, “Formazioni”, in Un ricordo al futuro. Lezioni americane, Torino, Einaudi, 2006, pp. 19-20.
8 Ivanka Stoianova, “Cheminements. Différences”, in Luciano Berio. Chemins en musique, Paris, La Revue Musicale, triple numéro 375- 376- 377, 1985, p. 390.
9 Enzo Restagno, “Ritratto dell’artista da giovane”, in Berio, a cura di Enzo Restagno, Torino, E.D.T., 1995, p. 14.
10 Angela Carone, “Notare le metamorfosi”, in Nota illustrativa, programma di sala a cura di Angela Carone, Siena, Accademia Musicale Chigiana, 29 Ottobre 2008, p. 2.
11 Luciano Berio, “Circles”, ibid., p. 4.
12 Luciano Berio, “Vedere la musica”, in Un ricordo al futuro. Lezioni americane, Torino, Einaudi, 2006, p. 92.
13 Luciano Berio citato in Enzo Restagno, “Ritratto dell’artista da giovane”, in Berio, a cura di Enzo Restagno, Torino, E.D.T., 1995, p. 27.
BEATRICE MARTINI
http://www.beatricemartini.it/site/curriculum-vitae