«Tra le più rare meraviglie c’hebbe nella sua Corte la gran memoria del S.or Duca Alfonso mio signore, rara et singolare per giudizio di tutti fu la musica di Dame principalissime: le quali servendo alla sig.ra Duchessa Margherita moglie di lui rendevano col canto loro in un tempo ossequio e diletto a quelle Ser.me Altezze; Ma poiché restò colla morte del sig.or Duca quella Musica spenta, io che v’hebbi gran parte ho desiderato per quanto a me si concede di ravvivarla, portando nella luce del mondo Madrigali, che composti da me furon cantati da quelle Ill.me Signore… »
Queste sono le parole con cui Luzzasco Luzzaschi nel 1601 dà alla luce i suoi “Madrigali per cantare et sonare”, e credo che possano aiutarci a riflettere sul significato di fare “musica antica”.
Perché il corsivo e le virgolette?
Perché oggi far musica antica può sembrare cosa scontata e banale, se si considera che ormai sono passati quasi Cinquant’anni da quando alcuni musicisti negli anni Settanta hanno incominciato ad avvicinarsi al testo musicale interrogandosi su quale fosse la prassi esecutiva dell’epoca in cui era stato composto. E spesso oggi si pensa – come purtroppo mi è capitato di sentire – che basti cambiare archetto e corde al proprio violino per fare musica barocca.
Ora, tolto il fatto che ogni tipo di musica, se ben scritta, funziona e commuove – aihmè – anche sulle suonerie dei cellulari, penso che le parole di Luzzasco ci possano aiutare ad avvicinarci all’argomento con il giusto atteggiamento. In primo luogo quando definisce la musica che si faceva alla corte di Alfonso II d’Este duca di Ferrara una rara meraviglia, e in secondo luogo quando ci confessa il suo desiderio di ravvivarla, ossia di farla tornare in vita.
Personalmente sono sempre stata rapita dalla bellezza e dalla raffinatezza del gusto degli antichi e questo ha comportato che mi avvicinassi allo studio di questo tipo di musica con reverenza e umiltà, ma anche con la gioia e la speranza di riportare in vita i suoni e le modalità espressive di un linguaggio caduto in disuso. Parlo di speranza, perché credo che possiamo solo tentare di avvicinarci a quel loro modo di fare musica, mancando il riscontro concreto di un documento sonoro.
Eppure ci sono strumenti importanti che ci aiutano in questa ricerca, come imparare a leggere la musica sulle fonti originali, capire il significato della modalità o apprendere la solmisazione. Nei
trattati dell’epoca troviamo preziose informazioni sulla prassi esecutiva, ma spesso veniamo anche messi di fronte a commoventi scorci della vita quotidiana: per esempio quando ci imbattiamo nella descrizione di posture scorrette e verifichiamo quanto attuali siano quelle parole, oppure quando leggiamo quanto fossero intensi i piani di studio consigliati agli allievi dai maestri. Inoltre non si può restare indifferenti di fronte alla perizia con cui un Domenichino o un Nuvolone illustrano nei loro quadri i ricchi particolari dello strumento o la posizione impeccabile delle mani dell’arpista.
Lo studio delle fonti è dunque parte essenziale del percorso che ci porta ad entrare in possesso del linguaggio musicale in uso nell’epoca antica, ma altrettanto importante per il nostro fine (ossia il cercare di riportare in vita una musica che ci ha colpito per rara meraviglia), è il possesso di uno strumento originale o di una copia di uno dell’epoca. Solo appoggiando le mani sulle corde sottilissime ne tasteremo la particolare tensione e potremo capire quale sarà la risposta al nostro tocco, e solo sentendo vibrare la tavola armonica sotto la pressione delle nostre dita potremo renderci conto della reattività del corpo sonoro.
In questo breve trafiletto di proposito non voglio parlare dei vari tipi di arpe, poiché ne esistono un’infinita varietà. Il periodo storico, la regione geografica, il tipo di cordiera o il tipo di forma sono solo un limitato numero dei diversi tipi di classificazione che si possono fare, e orientarsi dentro questo labirinto richiede molto più spazio di quello che ho a disposizione.
Tuttavia, proprio qui in Italia, abbiamo la possibilità di vedere da vicino alcune arpe di fine Cinquecento e inizio Seicento splendidamente conservate. L’arpa di Laura (splendidamente intarsiata e recentemente restaurata) conservata alla Galleria Estense di Modena, l’arpa Barberina conservata a Roma al Museo degli Strumenti Musicali, e le due arpe conservate al Museo Civico Medievale di Bologna sono solo un piccolo assaggio di questo magnifico mondo, ma tuttavia sono una vitale testimonianza dello splendore e della raffinatezza dei tempi passati, e un travolgente incoraggiamento per chi volesse incominciare ad incamminarsi lungo questo affascinante percorso.